L’ortodossia democratica e l’eresia pacifista

Anche Romano Prodi, dopo Paolo Gentiloni e Enrico Letta, al contrario di Elly Schlein non boccia il piano von der Leyen: «È una tappa per arrivare alla difesa comune. Il riarmo è un primo passo necessario in questa direzione. Se avessimo avuto l’esercito europeo, la Russia non avrebbe attaccato l’Ucraina. Se si fa l’esercito comune, Putin si ferma». L’importante, secondo il Professore, è che non ci si limiti a questo, ma si «vada avanti».

Dunque anche Prodi, seppur evitando di entrare nella polemica diretta, prende le distanze dalle posizioni di Schlein. E pensare che, grazie all’ennesima uscita di Musk, il Pd sempre più diviso ieri cercava almeno per un giorno di dare l’impressione di un partito compatto. Tutti contro il consigliere di Trump che ha minacciato: «Se disattivo Starlink, l’Ucraina crolla». Ma quello che è successo in questi giorni non si può cancellare. Le divisioni sul piano von der Leyen hanno creato tensioni interne che difficilmente si placheranno a breve.

I riformisti non vogliono seguire la segretaria sul suo «no» a quel progetto di difesa europea. Anche perché, come ha spiegato il coordinatore di Energia popolare, Alessandro Alfieri, «il Pd con quelle posizioni rischia l’isolamento in Europa». Già, perché Schlein su questa vicenda ha una posizione ben diversa dai leader socialisti di Spagna e Francia e dal primo ministro laburista della Gran Bretagna Starmer.

I riformisti non riescono più a nascondere le loro perplessità e i loro timori. E a poco sono servite le parole del fondatore della corrente di minoranza del Pd, Stefano Bonaccini. Il presidente del partito ha «coperto» la segretaria anche in questa vicenda: «No al riarmo», ha detto come lei, prendendo una posizione ben diversa da quella dei «suoi».

Ma la verità è che l’ex governatore dell’Emilia-Romagna ha perso la presa sui riformisti. Ormai quella corrente dem è gestita da Alfieri (e da Lorenzo Guerini, che però, visto il suo ruolo di presidente del Copasir, si tiene sempre un po’ defilato). E uno dei punti di riferimento di quell’aerea è diventato Gentiloni. Come si arguisce chiaramente dalle parole di Stefano Ceccanti: «Da ex commissario, Paolo ribadisce la continuità della politica estera e chi non condivide le sue posizioni stia con Conte». O dalle affermazioni di Alfieri: «L’attivismo di Gentiloni è un fatto positivo, il Pd faccia sintesi e basta definire bellicista chi la pensa in un certo modo».

La distanza che ormai divide la maggioranza e la (corposa) minoranza dem è emersa anche nella polemica che è seguita dopo la pubblicazione, sui social del Pd, di una card in cui si facevano i complimenti a Salvini, accusato da Meloni di avere, sul riarmo, la stessa linea del Pd: «Bravo Matteo». Quella mossa comunicativa, che pure giocava sul filo dell’ironia, ha lasciato di stucco i militanti. E ha fatto irritare Pina Picierno, una delle esponenti dem più determinate sull’Ucraina e sulla difesa comune, che non ha avuto remore ad attaccare il suo partito: «Non c’è molto da dire se non che mi vergogno e mi dispiace molto». Anche Ceccanti ha avuto parole molto critiche nei confronti di quella card: «Una volta, per cose del genere, a torto o a ragione, si sarebbe usata una sola parola, deliramentum». Insomma, quasi un clima da separati in casa.

Il disagio si estende anche alla componente più moderata, come dimostra la decisione della ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan di abbandonare il gruppo del Pd del Senato e aderire a Italia viva. Un addio i cui motivi, secondo Lorenzo Guerini, devono far riflettere: «Non condivido la scelta di lasciare, ma credo che dovremmo interrogarci sulle ragioni. Ignorarle sarebbe sbagliato». Parole simili a quelle pronunciate da Filippo Sensi. E alle dichiarazioni di Simona Malpezzi, secondo la quale «la scelta di Furlan non deve cadere nel silenzio».

Eppure, non ci sarà divorzio nel Pd, dove le due anime in cui è diviso il partito continueranno la loro difficile convivenza senza rotture. Chiosa un autorevole esponente del Pd con un’abbondante dose di malizia: «In fondo, sopra tutto, vince la difesa comune del seggio». (dal Corriere della Sera – Maria Teresa Meli)

 

Ammetto di avere una concezione aristocratica della politica. Cosa voglio dire? Dal momento che la considero un elemento importantissimo e fondamentale della vita comunitaria ed anche personale, esigo che venga discussa e praticata partendo dai valori messi seriamente e coraggiosamente a servizio della collettività. In politica è auspicabile innanzitutto la passione (l’arte dell’impossibile) e solo dopo di essa vengono la razionalità e il compromesso (sempre ai livelli più alti).

La Costituzione Italiana all’articolo 11 recita testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Nel dettato costituzionale non vedo scappatoie riarmiste e/o belliciste. Anche l’Europa vale a condizione che punti alla pace e alla giustizia e non diventi una mera alleanza di tipo militare seppure a scopo difensivo. Diversamente viaggiamo sul filo del rasoio e io non ho alcuna intenzione di farmi male.

Non ricordo la fonte, ma a suo tempo Gianfranco Fini fu definito da un intellettuale di destra, e quindi non a lui politicamente estraneo od ostile, come un soggetto che “non sa un cazzo, ma lo dice bene”. Attualmente la politica italiana è piena zeppa di gente che non sa un cazzo, ma lo dice bene o che addirittura lo dice male, ma sa conquistare un inspiegabile consenso.

L’indimenticabile esponente democristiano Mino Martinazzoli a chi gli chiedeva di “sputare” certezze, ammetteva di avere molti dubbi. Altra stoffa! Oggi tutti sparano certezze e nessuno ha il coraggio di esprimere qualche dubbio. Bisognerebbe diffidare e invece ci si prostra ai piedi di questi vanagloriosi personaggi. I media hanno enormi responsabilità nel legittimare l’ignoranza dei politici, inserendoli nel loro circo pieno di prestigiatori che si spacciano per acrobati.

Ebbene, di fronte alla prospettiva di un riarmo, più o meno giustificato dalla realpolitik di stampo europeista, la segretaria del partito democratico ha finalmente trovato il coraggio del dubbio atroce: non l’avesse mai fatto, le sono saltati tutti addosso con argomentazioni che non mi convincono affatto. Il beneficio del dubbio me lo concedo e quindi lo concedo anche ad Elly Schlein, checché ne dicano le cariatidi del partito democratico in vena di revival pseudo-europeista.

Fino ad oggi ad Elly Schlein veniva rimproverata la mancanza di coraggio a sinistra, oggi sembra che finalmente se lo sia dato e allora tutti le sono contro. Nemmeno il Padre Eterno mi convincerebbe dell’utilità di una scelta riarmista, figuriamoci la santissima trinità di Prodi, Letta e Gentiloni.

Se il partito democratico va in crisi su questa tematica, ne sono più che soddisfatto. Vogliamo ragionare di pace o vogliamo prepararci alla guerra? Ricordo come un noto esponente della sinistra democristiana affermò di preferire l’andata in crisi dell’allora governo di centro-sinistra per effetto della contestazione proveniente dalla sinistra cattolica piuttosto di quella promossa dagli allora moderati socialdemocratici di stampo saragattiano. Ebbene i socialdemocratici sono diventati tutti saragattiani, vedovi dell’atlantismo morto e sepolto di cui stanno elaborando il lutto.

Meglio che gli equilibri europei vadano in crisi sulla spinta delle idealità pacifiste piuttosto che rafforzarsi sulla base di scelte riarmiste.

 «Il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia» (Papa Francesco, discorso del 04 febbraio 2017 ai partecipanti all’Incontro “Economia di Comunione”, promosso dal Movimento dei Focolari).

Non siamo molto lontani da questa ipocrisia, ammantata di europeismo spicciolo.

«La corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti» (papa Francesco nella sua Esortazione “Evangelii Gaudium).

I deludenti e pragmatici ragionamenti prodiani vanno purtroppo in questo senso. Romano Prodi abbia il coraggio di fare il notabile post-europeista: è ciò che gli rimane. Non ho mai avuto grande considerazione per la sua intelligenza politica, oggi ne ho ancor meno. Faccia autocritica, lasci in pace Elly Schlein e abbia rispetto per la sua sacrosanta pacifica incertezza.

Termino con la citazione delle parole del cardinal Zuppi sul capitolo Europa. «Dobbiamo investire nel cantiere dell’Europa che non sia un insieme di istituzioni lontane», ma una «madre della speranza di un futuro umano» che «non rinunci mai a investire nel dialogo come metodo per risolvere i conflitti, per non lasciare che prevalga la logica delle armi, per non consentire che prenda piede la narrazione dell’inevitabilità della guerra, per aiutare i cristiani e i non-cristiani a mantenere vivo il desiderio di una convivenza pacifica, per offrire spazi di dialogo nella verità e nella carità». Insomma, un’Europa che non punta soltanto sul riarmo, come invece viene dichiarato in questi giorni.