Otto anni dopo la cacciata sotto i bombardamenti russi pro-regime di Bashar al Assad, le forze di opposizione siriane tornano ad Aleppo. Un esercito vero e proprio di circa 60mila soldati, nato dal raggruppamento di 13 bande divise, sfiduciate e poco collaborative tra loro. Ad Aleppo le forze lealiste se ne sono andate senza combattere, se non qualche scambio di fuoco in periferia, e ora che i ribelli puntano Hama le forze militari di Assad battono in ritirata seppure il presidente siriano ribadisce: «Sconfiggeremo i terroristi». Filoturchi, jihadisti, ex militanti di al Qaeda: chi c’è dietro l’avanzata elle forze ribelli in Siria? Un coacervo di gruppi che negli ultimi cinque anni hanno messo da parte le differenze per ribaltare il regime. Approfittando della debolezza di tutti i suoi alleati. Dall’Iran a Hezbollah alla Russia, i principali artefici della vittoria di Bashar al Assad ormai otto anni fa nella guerra civile scoppiata in Siria nel 2011 sono ora impegnati nei loro conflitti. Mentre l’esercito nazionale è sfibrato e sfiduciato da una guerra che non è mai veramente finita.
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L’attacco si inserisce nella lunga timeline della guerra civile in Siria, mai esauritasi. Un conflitto che negli ultimi anni è diventato a bassa intensità ed è sparito dai radar dell’opinione pubblica internazionale anche per l’esplodere di altri conflitti. Ma in Siria si consuma da 12 anni l’attrito tra potenze per l’egemonia regionale. Qui operano in varie forme Stati Uniti, Russia, Iran, Israele, Libano, solo per citarne alcuni. E proprio per questo i ribelli hanno trovato ora il momento adatto per dare una spallata al regime. Nel 2016 furono decisive le bombe russe e le forze iraniane per cacciare gli oppositori da Aleppo e mettere in cantina i sogni di ribaltare il regime. Ora i bombardamenti della Russia avvengono per proteggere la ritirata e arginare l’avanzata dei ribelli. Dopo cinque anni di addestramento e la tessitura di una rete para-diplomatica, da Idlib è arrivato l’ordine di attaccare approfittando dell’indebolimento di tutti gli alleati di Assad. Le milizie di Hezbollah sono tornate in Libano per fronteggiare Israele. I russi sono impegnati in Ucraina. Gli avamposti iraniani sono stati distrutti dai bombardamenti israeliani. Quindi Tel Aviv ha avuto un ruolo fondamentale nell’indebolimento di due alleati su tre del regime siriano, distruggendo anche depositi di armi e fortezze, ma certo non auspica una presa del potere in Siria da parte dei jihadisti. (da OPEN online)
La guerra continua: le battaglie si susseguono, una tira l’altra, spuntano come i funghi dal momento che il terreno è ben preparato e coltivato. Ad Aleppo abbiamo una eloquente sintesi delle spinte e controspinte belliche: la concreta dimostrazione che la spirale della violenza è inarrestabile.
Anche la diplomazia rischia di rimanere completamente devitalizzata di fronte ad un simile impazzimento generale. Abbiamo seminato vento e raccogliamo tempesta. Nessuno riesce ad esprimere e proporre un piano di pace, troppe variabili dipendenti e oserei dire nessuna variabile indipendente da cui partire.
Tutto sommato la meno invischiata negli equilibri politici è l’Europa che però è la più danneggiata sul piano delle migrazioni e sul piano commerciale. Come può fare ad essere elemento di propulsione e non di arretramento? L’unica strada è quella di trovare una fortissima unità interna, di esprimere una classe dirigente degna di tale nome, di prendere la leadership dell’Occidente e di tessere la tela di un nuovo equilibrio internazionale.
Occorre però coltivare la fantasia della pace e abbandonare l’aridità della guerra, bisogna credere nell’impossibile a rischio di essere considerati visionari. Non vedo altre possibilità: ognuno deve fare la sua parte coraggiosamente per non farsi imprigionare nell’inevitabilità della violenza.
Non so andare oltre queste riflessioni anche se mi rendo perfettamente conto della loro relatività al limite della velleità. Però accettare questo mondo con rassegnazione è molto peggio. La realpolitik mi ha stomacato e non riesco che a vomitare sogni, forse più poeticamente che politicamente.
Mi sia consentita di chiudere con una speranzosa nota religiosa: “Ci serve doppia attenzione per vegliare sul nuovo che nasce, sui primi passi della pace anche tra di noi. E sul grammo di luce che si posa sul muro della notte di queste guerre infinite” (padre Ermes Ronchi).