Non abortiamo la tolleranza e il dialogo

Il convegno «Ascoltare la vita», in programma martedì sera nell’aula 200 dell’Università Statale di Milano, aveva per sottotitolo «Storie di libere scelte». Queste storie, però, nessuno dei presenti le ha potute sentire, perché un gruppo di ragazzi ha deciso che non avevano diritto di essere raccontate. Con una contestazione iniziata nel momento esatto in cui era stata invitata a parlare Soemia Sibillo, direttrice del Centro di aiuto alla vita della Mangiagalli, alcuni studenti del collettivo «Cambiare rotta» hanno fatto irruzione nell’aula, a suon di tamburelli, grida e bestemmie. Diversi loro amici si trovavano seduti tra i banchi e avevano assistito al primo intervento in scaletta, quello di Costanza Raimondi, assegnista di ricerca in bioetica alla Cattolica di Milano. Primo e unico dell’intero convegno, perché non c’è stato modo alcuno di proseguire.

«Mi avevano appena passato la parola – commenta Soemia Sibillo –, quando si sente picchiare forte alla porta dell’aula. Alcuni giovani sono entrati gridando slogan e bestemmie, con il chiaro intento di boicottare l’incontro, che era stato organizzato da loro coetanei della lista “Obiettivo Studenti”. Il più esagitato a un certo punto ha preso una bottiglietta dal tavolo dei relatori e l’ha rovesciata in testa a uno degli organizzatori. L’acqua è andata a finire anche sui cavi dell’impianto audio video, si sono spente le luci e il proiettore ha smesso di funzionare. Io avrei dovuto far vedere ai presenti la testimonianza di una mamma che ha accettato di portare avanti la gravidanza nonostante avessero diagnosticato al suo bambino una grave malformazione cardiaca, suggerendole l’aborto terapeutico. Ma non è stato possibile». (dal quotidiano “Avvenire” – Anna Sartea)

Non ammetto l’intolleranza, che è la negazione della democrazia sul piano politico, del rispetto della persona sul piano umano e del dialogo sul piano sociale. Nessuno ha la verità in tasca, men che meno gli sciocchi energumeni dell’Università Statale di Milano.

Chi teme un clima clericale e bigotto entro il quale collocare la delicata problematica riconducibile al tema dell’aborto, rischia di cadere nell’uguale e contrario atteggiamento. Di fronte ad una problematica, a volte addirittura drammatica, gravidanza, non c’è un’unica risposta valida in tutti i casi.  Riporto di seguito quanto diceva don Andrea Gallo a chi lo interrogava sul problema dell’aborto.

«Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una povera donna che si è scoperta incinta, è stata picchiata dal suo sfruttatore per farla abortire o se mi arriva una poveretta reduce da uno stupro, sai cosa faccio? Io, prete, le accompagno all’ospedale per un aborto terapeutico: doloroso e inevitabile. Le regole sono una cosa, la realtà spesso un’altra. Mi sono spiegato?».

Mi permetto di sviluppare e parafrasare il pensiero di questo profetico sacerdote nella certezza che sarebbe perfettamente d’accordo.

«Sta’ a sentire, non incastriamoci nei principi. Se mi si presenta una donna che, nonostante i gravi rischi della sua gravidanza, vuole portarla avanti facendosi carico di tutte le conseguenze, sai cosa faccio? La aiuto in tutti i modi possibili nella sua coraggiosa decisione, non tanto in base al teorico principio del rispetto della vita, ma al concreto imperativo dell’umana solidarietà».

Ogni caso fa storia a sé e va affrontato nel dialogo fra le persone, che non vuol dire calare dall’alto soluzioni dogmatiche e pregiudiziali, ma cercare insieme soluzioni che rispettino, nei limiti del possibile, i diritti e i doveri di tutti, quelli della madre, quelli dal padre, quelli del nascituro, quelli dell’intera società.

In questo contesto costruttivo ha senso ascoltare tutte le esperienze, senza giudicarle, senza metterle in graduatoria, senza facili demonizzazioni e santificazioni in senso religioso e in senso laicista, quelle di donne che hanno deciso di abortire e quelle di donne che hanno deciso di non abortire. Questo non è pilatismo, ma disponibilità al dialogo e all’incontro con tutti in vista del reciproco aiuto nel superamento delle difficoltà.

Ecco perché mi sento in dovere di riportare quell’esperienza umana che non si è voluta ascoltare al suddetto convegno.

Nel video mai proiettato in aula, una giovane donna di nome Lourdes racconta la sua storia. Il giorno dell’ecografia morfologica, assieme al suo futuro marito Henry scopre che il piccolo che aspettano ha il cuore sinistro ipoplasico. I medici prospettano loro l’interruzione della gravidanza e descrivono le tre operazioni, una più rischiosa dell’altra, a cui si sarebbe dovuto sottoporre il bimbo se fosse riuscito a nascere, per sperare di sopravvivere.

«Quando sono arrivati da noi, la futura mamma era in lacrime, ma è stata l’unica volta che l’ho vista piangere – racconta la direttrice del Cav Mangiagalli –. Fatta la scelta di tenere il bambino, Lourdes ha dimostrato a tutti un coraggio e una forza incredibili, che non sono venuti meno nemmeno nei lunghi mesi in cui il suo bimbo è stato ricoverato in terapia intensiva al Niguarda, dove è nato e ha subito numerosi interventi a cuore aperto».

Il Cav ha sostenuto la giovane coppia, che viveva in una stanza condivisa con altre persone, procurando un alloggio dove affrontare con maggior serenità questa gravidanza. Subito dopo il parto, i neo genitori sono stati accolti in un altro appartamento, in zona Niguarda, per facilitarli nel loro andare e venire dall’ospedale dove Liev Logan ha lottato per vivere, vincendo la sua battaglia perché ora sta bene.

«Sarebbe stato impossibile affrontare tutto ciò da soli», afferma Lourdes nell’intervista video. «I nostri genitori sono lontani, in Perù. Qui è il Cav Mangiagalli la nostra famiglia». (ancora dal quotidiano “Avvenire” – Anna Sartea)

Sono cattolico, ma non mi sono mai lasciato imprigionare negli schemi dogmatici e nei principi religiosi. Mi sforzo di essere attento ai problemi degli altri e di allungare la mano con grande rispetto e discrezione, senza giudicare per non essere giudicato. Ho cercato di farlo nel mio impegno cristiano a livello individuale e comunitario, nella mia vita professionale, nei rapporti sociali, nella mia partecipazione attiva alla vita politica. In contrapposizione ai miei innumerevoli difetti e limiti, tutti mi riconoscono un po’ di umana sensibilità.  Di fronte al tema dell’aborto cerco di capire, di ascoltare e di non giudicare. L’ho fatto anche in questa sede.