Autonomia, non così. E di certo non accentrando la scelta più importante, quella dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni per i diritti sociali e civili, nelle esclusive mani del governo. La Consulta dichiara incostituzionali norme centrali della legge Calderoli, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge posta da quattro Regioni (Puglia, Toscana, Sardegna e Campania). (dal quotidiano “Avvenire”)
Anche la Corte Costituzionale ce l’ha col governo? Un altro nemico contro cui combattere? Anche se la sentenza della Consulta assomiglia molto a quella della madre premurosa e perbenista, citata in un aneddoto ricordato dal grande Enzo Biagi, la quale, di fronte alla giovanissima e nubile figlia incinta, ammetteva con la gente: “Sì, è incinta, ma solo un pochettino…”.
Incostituzionale, ma solo un pochettino. Il governo vede il bicchiere mezzo pieno e dichiara di volere comunque andare avanti con questo provvedimento; le regioni ricorrenti e le opposizioni vedono il bicchiere mezzo vuoto e incassano l’altolà della Corte come un relativo successo politico.
Prescindendo dal merito di questa raffazzonata novità legislativa, bisogna considerare che è stata mercanteggiata tra Meloni, Salvini e Tajani: della serie una a te (il premierato), una a te (l’autonomia regionale rafforzata), una a te (la riforma della giustizia). Tre indizi che fanno la prova di un governo a dir poco pasticcione e anti-democratico.
Tre attacchi sconsiderati alla Costituzione. L’unica consolazione sta nel constatare il pressapochismo con cui il governo affronta questa delicatissima materia ed è molto probabile che alla fine si debba fermare per non cadere sotto i colpi referendari. Riformare la Costituzione non è un divertimento innocuo per governanti scemi.
Il dato emergente è quello di un governo meramente mediatico (altra subdola riforma quella della Rai): non so fino a quando potrà durare questa menata del consenso sondaggistico ed elettorale. Forse li aiuterà il genio di Elon Musk.
Quando Silvio Berlusconi pensò di scendere in politica, gli esperti gli consigliarono di puntare su due o tre questioni sensibili quanto inconsistenti, una delle quali era l’anticomunismo (è detto tutto…). Aggiunsero però che dopo qualche mese gli elettori si sarebbero svegliati e il giochino sarebbe stato scoperto. In parte, solo in parte purtroppo, andò così, per merito di Umberto Bossi e non tanto per la ritrovata lucidità popolare. Berlusconi aggiustò il tiro e andò avanti per parecchio tempo e anche ai giorni nostri la sua “lezione” funziona.
Però non c’è più Berlusconi, non c’è più Bossi e non c’è più Fini e quindi aumenta la speranza. In effetti c’è una bella differenza fra il trio Berlusconi-Bossi-Fini (c’era di mezzo anche Casini) e l’attuale trio Meloni-Salvini-Tajani (c’è di mezzo anche Lupi). È pur vero che è meglio avere a che fare con personaggi intelligenti e scomodi piuttosto che con personaggi sciocchi e quindi furbastri ed apparentemente innocui. Verso i primi si può ipotizzare una difesa, verso i secondi solo la fuga (ed è quello che sta succedendo, nelle urne e nel disimpegno politico-sociale).
Anche allora i magistrati erano nel mirino perché ce l’avevano con Berlusconi. Ci fu Giorgio Napolitano che fece un capolavoro. Oggi c’è ancora la Magistratura e c’è Sergio Mattarella. La gente non si rende conto oppure finge di non capire oppure se ne frega altamente. Nel primo caso si potrebbe prevedere prima o poi un risveglio; nel secondo caso si potrebbe ipotizzare un razionale cambio di miglior offerente a cui vendere cervello e coscienza; nel terzo caso, il più grave e irreversibile, il menefreghismo alla lunga ci potrebbe portare al disastro (come sta già avvenendo).