Resta alta, e assume singolari venature a stelle e strisce, la tensione fra il governo e la magistratura, legata alle pronunce di non convalida dei trattenimenti di migranti destinati ai centri costruiti in Albania. In attesa di conoscere le risposte della Corte di Giustizia europea ai quesiti presentati dai giudici italiani, ad ampliare i confini mediatici dello scontro è il magnate statunitense Elon Musk, gran finanziatore della campagna presidenziale di Donald Trump e secondo alcuni in procinto di assumere un ruolo nella nascente amministrazione Usa. Al mattino, le agenzie di stampa ne rilanciano un commento affilato, postato sulla bacheca di X, il social di sua proprietà. «These judges need to go, questi giudici devono andarsene», scrive Musk, in risposta a un utente che riportava la notizia italiana della sospensione della convalida del trattenimento per 7 migranti trasportati venerdì in Albania e poi riportati alla chetichella ieri in Italia, dopo la decisione del Tribunale di Roma. (dal quotidiano “Avvenire” – Vincenzo R. Spagnolo)
Lascio a Mattarella la puntuale e secca precisazione a livello istituzionale, lascio alla Magistratura il sacrosanto diritto/dovere di replica. Mi riservo qualche riflessione polemicamente amara e inevitabilmente disperata.
Il potere economico ha raggiunto l’apice della sua strafottente superiorità: il triste binomio Trump/Musk ne è la dimostrazione. Tra sistema capitalistico e democrazia c’è sempre più una frattura. Dove comanda l’economia, in senso peraltro mediaticamente invasivo e tecnologicamente avanzato, la democrazia diventa una pura formalità. Si deve onestamente riconoscere che il marxismo non aveva e non ha tutti i torti, mentre il capitalismo ha una irresistibile capacità di riciclarsi, di allargarsi e di diffondersi.
La politica dovrebbe avere il ruolo di contenimento dello strapotere economico e di valorizzazione delle istituzioni democratiche: quando, come sta succedendo negli Usa, la politica si appiattisce sulle esigenze dell’economia, la democrazia non riesce a difendere le sue istituzioni e i suoi equilibri sociali.
C’è tutta l’amarezza di avere fatto scuola in tal senso col berlusconismo ieri e di fare corona con il melonismo oggi. Non è un caso che Elon Musk si erga a grande estimatore di Giorgia Meloni e intenda difenderla a spada tratta. Donald Trump sarà molto probabilmente più cauto, ma sostanzialmente andrà sulla stessa strada.
La speranza è che questi smaccati endorsement cozzino contro l’orgoglio patriottico della destra italiana a livello di popolo. Non mi faccio illusioni. Occorrerebbe un po’ della diplomazia democristiana che riusciva a coniugare la stretta alleanza con un minimo di autonomia politica. Erano però altri tempi in cui l’intelligenza e la sensibilità politiche riuscivano a difendere, seppure a denti stretti, il sistema democratico.
Oggi negli Usa la potenza è definitivamente diventata prepotenza, mentre in Italia la pragmatica alleanza si è tramutata in totale sudditanza. Bene ha fatto Sergio Mattarella a battere un colpo: è l’unico personaggio che se lo può permettere.
Negli Usa la Magistratura è asservita alla politica e quindi da oltre oceano arriva un perfetto assist ad una riforma della giustizia in senso anticostituzionale. Presto magari arriverà anche un incoraggiamento a trasformare l’assetto regionale in uno smembramento dello Stato unitario proiettato in una clamorosa anticamera/parodia di uno Stato federale, mentre l’Europa, che avrebbe tutti i presupposti per diventare una federazione, rinuncerà ad esserla. Dopo la brexit avremo una subdola italexit, dopo l’Unione europea avremo la disunione filoamericana.
L’attuale classe politica italiana non ha l’intelligenza per valutare questi pericoli e il coraggio per elaborare una strategia di ferma ed alternativa risposta all’attacco statunitense. Rimaniamo bloccati dall’opportunismo meloniano che va di pari passo con quello von der leyeniano, dalla goliardia salvinian- orbanian- lepeniana che fa da parafulmine rispetto al velleitarismo di una sinistra imbelle ed anemica ed alla rassegnazione di un liberalismo in svendita.