Arriveranno già nelle prossime ore a Bari direttamente dall’Albania. Con un decreto di espulsione, un potenziale ricorso in tasca e la possibilità comunque di rimanere in Italia e ritentare la carta dell’asilo. È la storia (rocambolesca) di un viaggio Italia-Albania andata e ritorno in meno di una settimana che si gioca sulla pelle di persone che hanno subito torture, ingiustizie e soprusi. È il destino dei 12 migranti che dopo essere stati trasferiti con il pattugliatore Libra della Marina militare prima nell’hotspot di Shëngjin e poi nel centro di prima accoglienza di Gjadër ora ritornano in Italia. La sezione immigrazione del tribunale di Roma non ha infatti convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader in Albania. I dodici migranti devono tornare in Italia. «Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane é dovuto all’impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute» spiegano i magistrati, facendo riferimento alla recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre 2024 a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal giudice della Repubblica Ceca. Per i giudici, Egitto e Bangladesh non sono Paesi sicuri.
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Le prime stoccate alle toghe arrivano dalla Lega, già schierata a Palermo nel giorno dell’arringa di difesa del vicepremier Matteo Salvini nel processo Open arms, e da Fratelli d’Italia. L’ordinanza del tribunale di Roma è «inaccettabile e grave – si legge in una nota del Carroccio -. I giudici pro-immigrati si candidino alle elezioni, ma sappiano che non ci faremo intimidire». Toni aspri pure dal partito della premier: «Assurdo! In aiuto della sinistra parlamentare arriva quella giudiziaria – lamenta un post sul profilo X di Fratelli d’Italia, in una grafica con una toga di colore rosso -. Alcuni magistrati politicizzati hanno deciso che non esistono Paesi sicuri di provenienza: impossibile trattenere chi entra illegalmente, vietato rimpatriare i clandestini. Vorrebbero abolire i confini dell’Italia, non lo permetteremo».
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La premier, in viaggio nel tormentato Medio Oriente e subito messa al corrente dal suo staff della pronuncia del tribunale capitolino, reagisce. «È molto difficile lavorare e cercare di dare risposte a questa nazione», lamenta da Beirut, «quando si ha anche l’opposizione di parte delle istituzioni che dovrebbero aiutare a dare risposte». Meloni definisce «pregiudiziale» la decisione dei giudici di Roma. (dal quotidiano “Avvenire” – Vincenzo R. Spagnolo)
Lo scivolone governativo sulla paradossale strategia in tema di immigrazione non stupisce più di tanto: quando si vuole fare propaganda sulla pelle dei disgraziati non può che finire così. La soluzione albanese, frettolosamente e irresponsabilmente promossa a schema emblematico, crolla miseramente non appena partita. Fin qui l’ennesimo errore clamoroso dell’attuale governo.
Che preoccupa però è soprattutto la caciara che si è scatenata sui capisaldi dei rapporti istituzionali nella nostra democrazia: la messa in discussione della distinzione dei poteri e della conseguente autonomia della magistratura. Giorgia Meloni lamenta mancanza di collaborazione da parte dei giudici, che nei loro compiti non hanno affatto quello di collaborare col governo, ma quello di applicare le leggi e di garantire i diritti fondamentali delle persone. Non so se definirla ignoranza o arroganza, forse l’una e l’altra cosa insieme. Ne risulta la presunzione di intoccabilità del potere esecutivo, giustificata da una maggioranza (peraltro minoranza) di voti elettorali e da una maggioranza di voti parlamentari. Anche se Fratelli d’Italia avesse ottenuto il cento per cento dei consensi il discorso non terrebbe, perché, a maggior ragione sarebbero necessari i contrappesi istituzionale a salvaguardia della democrazia così come impostata dalla Costituzione.
Non merita nemmeno di essere preso in considerazione l’attacco leghista dal momento che è soltanto la miglior (?) difesa di Matteo Salvini a giudizio nel processo Open arms. La questione è comunque sempre quella della intoccabilità del governo e la strenua difesa del potere. Le istituzioni che, nello svolgimento delle loro funzioni osano direttamente o indirettamente andare contro il governo e i suoi componenti, vengono bollate come antipotere, come amici del giaguaro per dirla in modo colorito. Siamo solo agli inizi perché la madre di queste battaglie antidemocratiche è il cosiddetto premierato passando attraverso la riforma della magistratura, l’autonomia differenziata regionale ed altre simili amenità istituzionali.
Il tema attorno a cui ruotiamo è il “potere in democrazia”. Se si prova ad allargare la visuale geopolitica, c’è da rimanere sbigottiti.
Mi ha fatto impressione una constatazione ascoltata non ricordo da chi (forse Enrico Letta): negli Usa il candidato più quotato è Donald Trump, un personaggio che, oltre tutte le gravissime pecche accumulate in senso etico e politico, ha tramato contro lo Stato democratico, istigando i suoi simpatizzanti alla sollevazione violenta per la conquista del potere (riuscendo peraltro ad ottenere una sorta di impunità). É detto tutto. La scuola democratica americana? Ma fatemi il piacere.
Durante la recente puntata della trasmissione “Di martedì” su La 7 mi ha impressionato la ricostruzione fatta dal bravissimo giornalista Sergio Rizzo in ordine al sistema di potere di cui è protagonista principale e regista Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato. Ne esce un quadro inquietante di fronte al quale la collezione dei busti di Mussolini è una semplice goliardata. L’altra sera ho capito perché Giorgia Meloni lo abbia designato a ricoprire la seconda carica dello Stato: non tanto e solo per fare un piacere ai nostalgici della sua armata Brancaleone, ma per chiudere a livello istituzionale i cerchi del potere per il potere.
In Europa, pur non essendo delle mammolette, sono attenti a certe anomalie italiane. Forse non è un caso che stiano provando a rimettere in discussione la nomina di Raffele Fitto a componente della Commissione Ue (i socialisti sembra che battano un colpetto…). Come può un personaggio che non crede all’Europa (leggi gradimento di Orban nei suoi confronti) governarla in campo economico (la delega di Fitto riguarda infatti l’economia)? Il potere del governo italiano troverebbe un consistente appoggio a livello europeo in nome della mera rappresentanza nazionale a prescindere dalla politica e dai suoi schieramenti: il potere basato sul patriottismo antieuropeo. L’Europa diventa cioè una istituzione ingombrante da giubilare con l’aiuto di Orban e con la sponda opportunistica di Ursula von der Leyen.
Allarghiamo ulteriormente la visuale. Come è possibile che Netanyahu, rappresentante dello strapotere israeliano possa fare il bello e cattivo tempo senza che qualcuno osi metterlo in seria discussione? Lo preserva da tutto la forza del potere stesso, anche religioso, che lo rende inattaccabile. In parecchi mi hanno detto che negli Usa la politica è in mano a due lobby: quella degli omosessuali e quella degli ebrei. Si dice che gli elettori americani cattolici siano orientati a sostenere Trump in quanto lo considerano “l’Antidemonio”, che sventola la bandiera anti-abortista: tutto si tiene, roba da matti…
Domenica scorsa ho ascoltato Francis Coppola intervistato da Mara Venier: si poneva il problema del come mai la tanta cultura che esiste nel mondo non riesca a connettersi con la politica; fra di esse esiste una frattura insanabile. La risposta è nella concezione del potere che tutto assorbe e tutto strumentalizza.
Il potere della scienza e della cultura? Ci sarebbe da discutere sul concetto, ma soprattutto sulle porcherie dell’asservimento di cultura e scienza alla peggior politica. La cultura, che dovrebbe essere il modo di porsi di fronte alla realtà, sta diventando il mediatico modo di porsi al di fuori della realtà.
Che spaventa è la totale incapacità dei cittadini a reagire all’asfissiante morsa del potere esercitato, con l’aiuto decisivo dei media (vedi Rai in Italia), dalle destre, ma con le sinistre che sembrano andare per la tangente del mantenimento delle loro fette di potere più salottiero che popolare, con i valori democratici ridotti a divertimento innocuo per cittadini ingenui.