Un’attività governativa con scarso pro-Fitto

Nessun vicepresidente esecutivo al gruppo Ecr, dunque a Raffaele Fitto. Verdi, liberali e socialisti europei si schierano contro la eventuale scelta di Ursula von der Leyen di far rappresentare l’Italia da un esponente di spicco del governo a guida Giorgia Meloni. Non è una questione di lana caprina, ma un vero e proprio diktat della maggioranza uscita vincitrice alle recenti elezioni europee con Ecr all’opposizione. I tre gruppi, nella sostanza, avvertono Ursula von der Leyen che dare troppo spazio ai Conservatori può far venire meno il sostegno dei partiti che l’hanno votata.  La questione è tanto ingarbugliata e delicata che la von der Leyen ha rinviato la presentazione della nuova Commissione. (Giornale Radio – Daniele Biacchessi)

Le sottigliezze della politica italiana non tengono a livello europeo. In effetti è strano come al rappresentante di un partito (Ecr), che ha votato contro l’accordo di maggioranza, venga concessa una delega importante e addirittura una vice-presidenza esecutiva a livello di Commissione europea. Non si tratta di una ritorsione contro Giorgia Meloni, ma di un ragionamento molto lineare e difficile da smontare. In qualche modo ne usciranno, ma resta il problema dello splendido isolamento italiano che non mancherà di creare brutte conseguenze per il nostro Paese.

Le furbizie meloniane sono basate sul filo-occidentalismo, per meglio dire sul filo-americanismo, e sul filo-ursulismo. Quando bene o male la politica entra in scena, l’Italia è nuda. Non so cosa riuscirà a garanitre Tajani tramite la sua adesione al Ppe, non so fino a che punto terrà il patto femminile Ursula-Giorgia, non so come se la caverà il governo italiano con il nuovo presidente americano, non so soprattutto come uscirà l’Italia dal debito pazzesco che la condiziona.

Giorgia Meloni sta tentando addirittura di giocare di sponda con Mario Draghi, tornato in campo tramite lo sciorinamento delle sue analisi europeistiche; sta facendosi forte dell’aiuto a tutti i costi all’Ucraina di Zelensky; sta sperando che la nuova presidenza Usa mandi ancora baci e abbracci; sta sperando che il mal comune dell’economia europea diventi mezzo gaudio per le casse erariali italiane.

Sono tutti atteggiamenti tattici che lasciano il tempo che trovano. Nei rapporti con la Commissione Ue la politica non tarderà a farsi sentire; nei rapporti con l’Ucraina l’Italia è più vicina a Orban che agli altri partner europei (vedi l’uso delle armi ucraine in territorio russo); sia Trump che Harris saranno molto meno abbindolabili da parte italiana; il macigno debitorio non mancherà di gravare sui bilanci del nostro Paese.

L’unica speranza italiana è che i rapporti fra gli Stati facciano premio sulla politica, un modo per essere antieuropeisti. Ma la politica fatta uscire dalla porta è pronta e rientrare dalla finestra. C’è al riguardo il finestrino dei rapporti tra i partiti di governo: aumenta l’insofferenza meloniana verso l’autonomia forzitaliota sponsorizzata da mediaset, nonché la lontananza patriottica di Fratelli d’Italia rispetto al velleitarismo leghista di stampo vannnacciano.

Giorgia Meloni deve guardarsi da troppi potenziali nemici e da alcuni subdoli amici.  Molti nemici molto onore: appena qualcuno la critica diventa immediatamente un nemico. Il giochino dell’amico-nemico ha un limite e prima o poi il governo italiano ne farà le spese in termini di isolamento sempre meno splendido.