Sul naufragio di Palermo, in molti – soprattutto sui social – hanno avanzato il seguente ragionamento. “Ma il naufragio di un gommone di migranti vale quanto il naufragio di un veliero di ricchi?”. Come a dire: di questo si parla tanto, dei poveracci sui barconi no. Un ragionamento falso, oltre che patetico. Primo: una notizia per definizione è un evento che si distingue da tutti gli altri. Non è un caso se “a fare notizia” sono i grandi naufragi con centinaia di migranti a bordo e non i piccoli in cui muoiono cinque o sei persone. Sarà cinico, ma è la legge della notiziabilità. Funziona così da secoli. Che un superyacht si inabissi davanti alle coste siciliane per una tempesta improvvisa è uno di quegli eventi che accade una volta nella vita, come la Concordia o il Titanic. Ecco spiegato il motivo di tanta attenzione. Chi usa la tragedia con quel fare malevolo da rivincita classista (“anche i ricchi annegano”) non vuole difendere i migranti, poveri cristi, ma esprime solo invidia sociale. Forse, un po’, anche se non l’ammettono, godono per tutto quello champagne inabissatosi col Bayesian. (Il Giornale – Storia di Giuseppe De Lorenzo)
Confesso di aver fatto istintivamente lo stesso ragionamento che Giuseppe De Lorenzo tenta elegantemente e puntigliosamente di confutare. Resto sulla mia macabra impressione: i due pesi e le due misure esistono anche di fronte alle disgrazie e alla morte. L’unico rimedio a questa discriminazione totalizzante sarebbe almeno il silenzio, che metterebbe tutti sullo stesso piano. Invece la cronaca e l’insistente e persino impietosa attenzione mediatica non ne vogliono sapere. Sì, perché anche i ricchi e i big avrebbero diritto ad essere lasciati in pace almeno dopo la loro morte e non ad essere esposti in bella vista per fare cassetta.
Mio padre sosteneva che la morte non è giusta, ma imparziale: tocca tutti, giovani e vecchi, uomini e donne, ricchi e poveri, etc. etc. Certo, anche i ricchi annegano. Non si tratta di fare del classismo, ma di prendere atto della realtà. Un barbone, sia da vivo che da morto, non interessa a nessuno, di un delone (Alain Delon), da vivo e da morto, tutti parlano. Fin qui giunge incolume la graffiante ingiustizia della nostra società, ma non finisce qui.
C’era un uomo ricco, che era vestito di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. (il resto della parabola evangelica del ricco epulone è noto…)
Come disse Fra Cristoforo a don Rodrigo, ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni, “verrà un giorno…”. Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s’aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento. Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la voce, per troncar quella dell’infausto profeta, gridò: – escimi di tra’ piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.
Le arzigogolate argomentazioni giornalistiche di Giuseppe De Lorenzo serviranno ai don Rodrigo di tutti i tempi a cacciar fuori e mettere a tacere i provocanti fra Cristoforo (che non hanno nulla a che fare con i pagani classisti più o meno fegatosi). Davanti al Padre Eterno tutto ciò non servirà più…