Al di là dei prezzolati e prezzolanti entusiasmi televisivi, al di là delle pochissime stelle nascenti, (tutte da dimostrare nel tempo) e cadenti (tutte da sopportare con enfasi), al di là delle figuracce italiche, al di là dell’autentica indigestione calcistica a cui mi sono colpevolmente sottoposto, mi sembra che dai recenti campionati europei sia emersa un’inflazione svalutante i calciatori e tutto il loro ambaradan, di cui essi sono peraltro soltanto una parte secondaria: sanno tirare molto bene il cassetto, ma non sanno tirare in porta; propongono il giropalla come schema basilare di gioco, ma rovinano completamente lo spettacolo; strizzano l’occhio al patriottismo, ma cantano l’inno ai loro compensi da nababbo; ostentano il loro divismo, ma evidenziano limiti tecnico-professionali incredibili.
Al termine di questa sarabanda il mercato calcistico, se la ragione valesse ancora qualcosa, dovrebbe subire un autentico crollo dei costi, dei ricavi e dei bilanci. Invece, siccome la razionalità non è del mondo calcistico, tutto proseguirà come se niente fosse successo.
Prendiamo l’esempio della Rai, che finalmente è riuscita a proporre qualche evento in diretta oltre le solite stucchevoli, noiose e fastidiose chiacchiere. Pensate all’esercito di cronisti e commentatori impiegati, al loro costo direttamente proporzionale alla loro penosa esibizione, allo sciocchezzaio delle polemiche scatenate, alla futilità e ripetitività degli argomenti trattati, ai clamori artificiali inversamente proporzionali ai reali contenuti sportivi.
Come mai in un mondo scetticamente globalizzato e annoiato, il fenomeno calcio resiste e riesce a coinvolgere milioni e milioni di spettatori (compreso il sottoscritto), enormi risorse economiche, tanti interessi e tante attività?
I ladri hanno fatto ancora una volta irruzione nell’appartamento dell’ala della Lazio e della Nazionale Mattia Zaccagni e Chiara Nasti, sua moglie, influencer. Guardando le foto pubblicate online proprio da Nasti, il bottino sembrerebbe importante: su Instagram si vedono diverse scatole vuote di Rolex e di gioielli. Immediata la reazione di sdegno della compagna del calciatore biancoceleste: «Prima che lo scrivano i giornali, questa è l’Italia». Quindi lo sfogo a caratteri cubitali su Instagram: «Pezzi di merda». (dal quotidiano “La Stampa”)
Sì, hanno proprio ragione, questa è l’Italia che consente ad un soggetto capace (?) solo di tirare calci ad un pallone, di guadagnare un sacco di soldi al punto da permettersi una collezione di Rolex, roba da schiaffo in faccia alla povertà. Non so chi siano i pezzi di merda a cui alludono i coniugi Zaccagni: ce ne sono parecchi nel mondo del calcio.
“Se a vundoz muradór igh disson i sold chi dan ai zugadór äd fotbal i vensrisson tutti il partidi anca colli contra i squadrón”, commentava mio padre di fronte alle iniquità calcistiche ed al fanatismo delle folle per i divi superpagati del pallone.
Mio padre era un soggetto che seguiva il calcio in modo distaccato, anche se ne era molto coinvolto, lo amava, lo considerava lo sport più bello del mondo perché semplice, giocabile da tutti, per tutti molto comprensibile, affascinante e trascinante nella sua essenzialità, spettacolare nella sua variabilità ed imprevedibilità, sentiva fortemente l’attaccamento alla squadra del cuore (soprattutto nelle partite stracittadine con la Reggiana soffriva fino in fondo) e non sottovalutava il fenomeno “calcio” (fotball come amava definirlo in una sorta di inglese parmigianizzato).
Cosa farebbe e direbbe oggi? Del calcio, così come viene impostato e propinato oggi, si sarebbe stufato! Si sarebbe consolato con le Olimpiadi (per quello che ha trasmesso la Rai al netto di sigle, chiacchiere e pubblicità), che viveva con tanta partecipazione al punto da augurarsi ciclicamente di poter essere ancora in vita alla futura edizione.
Noi, invece, non ci siamo ancora stancati di farci prendere in giro. Aveva forse ragione un mio simpatico zio che, intendendo dissacrare la passione calcistica, affermava ironicamente e paradossalmente che avrebbe frequentato uno stadio solo a condizione che ci fossero undici palloni che rincorrevano un uomo.
Troppi interessi in gioco, troppi affari, troppa gente che ci gioca dentro, troppi mangiapane a tradimento. Il troppo generalmente guasta, invece…
Il calcio è come la guerra, non finirà mai. E pensare che lo sport dovrebbe essere un antidoto alla cattiveria umana, invece ne è diventato lo sfogatoio. Arrivederci al prossimo campionato! Ormai ci siamo!