In base ai sondaggi, Michelle Obama è l’unico rappresentante del partito democratico in grado di sconfiggere Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca. Un rilevamento Reuters e Ipsos ha confermato ieri che l’ex first lady batterebbe Trump di dieci punti percentuali, mentre nessun altro contendente potrebbe vincere contro il repubblicano. Ma la moglie del primo presidente nero della storia americana ha ancora una volta respinto le richieste di scendere in campo. «Come l’ex First Lady ha espresso più volte nel corso degli anni, non si candiderà alla presidenza — ha detto ieri il suo portavoce —. Michelle intende sostenere la campagna di Biden, concentrandosi sull’affluenza alle urne». Nonostante i ripetuti rifiuti, la popolarità di Michelle continua a crescere. (dal quotidiano “Avvenire” – Elena Molinari)
Se è così non capisco la testardaggine di Joe Biden, chiaramente inadatto a ricoprire un secondo mandato a prescindere dai modestissimi risultati del primo, le incertezze del partito democratico nel sostituire in corsa il proprio bolso candidato, anche se effettivamente dalle sue file non emergono alternative molto interessanti ed appetibili, la riluttanza di Michelle Obama, comprensibilissima dal punto di vista dell’orgoglio personale (rischierebbe di essere agli occhi del mondo una presidente in nome proprio ma per conto del marito), ma totalmente priva di senso politico e di spirito di servizio.
Nelle prossime elezioni presidenziali americane non c’è in ballo soltanto la vita di un grande Paese come gli Usa e della sua popolazione, sono a grave rischio i destini dell’intera umanità: consegnare il mondo nelle mani di un farabutto sarebbe pura follia da evitare a tutti i costi. Piuttosto di Trump si prenda il più squallido commesso della Casa Bianca e lo si metta nello studio ovale.
Sono convinto che Donald Trump qualcosa di buono nei rapporti internazionali potrebbe farlo usando la sua arroganza e aggressività, ma certamente il gioco non varrebbe la candela.
Ricordo i rari colloqui tra i miei genitori in materia politica: tra mio padre antifascista a livello culturale prima e più che a livello politico e mia madre, donna pragmatica, generosa all’inverosimile, tollerante con tutti. «Al Duce, diceva mia madre con una certa simpatica superficialità, l’à fat anca dil cozi giusti…». «Lasemma stär, rispondeva mio padre dall’alto del suo antifascismo, quand la pianta l’é maläda in-t-il ravizi a ghé pòch da fär…». Poi si lasciava andare a sintetizzare la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…».
E allora il partito democratico statunitense abbia un residuo di dignità e uno scatto d’orgoglio e proponga agli americani un’alternativa seria a Donald Trump che li costringa a ragionare con la testa e non con la pancia. Non è possibile rassegnarsi al peggio, è da irresponsabili. Bisogna almeno provarci con gli scarsi mezzi che la democrazia (?) mediatizzata offre e negli spazi che il sistema presidenziale concede.
Se l’unica alternativa agibile e vittoriosa è Michelle Obama, si insista e si cerchi di convincerla a tutti i costi: è donna in un momento storico in cui le donne in politica sembrano andare per la maggiore; ha le physique du rôle, che, persino una matusa come mia madre, riteneva una condizione indispensabile; avrebbe l’appoggio, ingombrante ma importante, del marito in campagna elettorale, ma soprattutto durante la presidenza; riporterebbe, anche se in senso spettacolare e teatrale, gli Usa al centro dell’attenzione e delle aspettative di tutto il mondo; darebbe alla storia una possibilità di riscatto in senso etico e valoriale prima che politico.
Psicologicamente parlando si verrebbe a creare un confronto fra un uomo vecchio e sporcaccione e una donna giovane, bella e pulita, fra le pornostar a servizio di Donald Trump e una casta-star a servizio delle persone di buona volontà. Forse sto esagerando, tanta è la paura di sprofondare irrimediabilmente nelle sabbie mobili della impolitica attuale.