Dai primi contraccolpi politico-istituzionali e dai primi commenti al recente clamoroso esito del ballottaggio elettorale francese emerge il solito refrain della inaffidabilità delle forze politiche estreme ad assumere responsabilità dirette di governo.
Questo pregiudizio ha un senso nei confronti della destra estrema, legata, volenti o nolenti, ad un passato da cancellare e propositiva di un futuro da respingere in toto per le venature razziste, populiste e sovraniste che porterebbero a derive inconcepibili e inaccettabili: la recente sacrosanta conventio ad excludendum nei confronti della destra francese, che si affacciava al governo del Paese, è stata una iniziativa lodevole, premiata peraltro dall’elettorato che dimostra di non volere mettere in discussione le fondamenta della democrazia.
Il discorso è diverso riguardo all’estrema sinistra. Perché Melenchon non può governare? Il muro di Berlino è caduto da parecchio tempo, il fattore K (nel linguaggio politico della tarda età della guerra fredda, fenomeno per cui, nei paesi dell’Europa occidentale, in cui il partito comunista era al secondo posto, era considerato non praticabile un ricambio di governo) è sparito con la fine del richiamo al comunismo sovietico, ma la sinistra viene sottoposta alla divisione manichea tra rivoluzionari (estremisti) e riformisti (moderati) giocando sulle parole al fine di omologarla al mantenimento dello status quo.
Una sorta di divide et impera a cui purtroppo la sinistra si lascia sottoporre come se le riforme fossero un modo elegante per lasciare le cose come stanno e non un modo per cambiarle significativamente a favore delle fasce sociali più deboli e per coniugare le libertà con l’uguaglianza, la giustizia e la solidarietà.
Ritorna di estrema attualità a distanza di cinquant’anni il discorso del compromesso storico quale fase politica per sdoganare completamente la sinistra da ogni e qualsiasi tentazione autoritaria e renderla pienamente agibile come forza di governo. Per avviare questa procedura occorre che le forze liberaldemocratiche abbattano gli steccati e gli alibi ideologici e abbiano il coraggio di confrontarsi con le forze socialiste più radicali fino a giungere ad accordi di governo così come le sinistre più spinte abbandonino l’intransigenza culturale e politica che le porta ad uno splendido e sterile isolamento.
La lezione morotea può essere ripresa in tal senso anche se abbisognerebbe di leader politici credibili su entrambi i fronti, tali da rendere possibili accordi compromissori ai livelli più alti. Melenchon non è Berlinguer, ma soprattutto Macron non è Moro. In questo momento la Francia potrebbe diventare un laboratorio politico per il superamento degli schematismi della conservazione. Infatti, evitato il rischio della caduta reazionaria, spunta quello del condizionamento conservatore.
Il partito di Macron commetterebbe un imperdonabile errore se pretendesse di ergersi ad esaminatore della compatibilità democratica a sinistra; la sinistra da parte sua non deve cadere, pur di entrare nell’area di governo, nella trappola dell’accettazione della divisione fra buoni e cattivi riformisti.
Enrico Letta conosce la Francia, conosce l’Italia e conosce l’Europa. «Macron comunque sarà sulla scena. Sarà lui a dare l’incarico e il voto dice che devono trovare una larga coalizione. Senza veti e senza usare la clava uno contro l’altro. È l’ultima chance che i francesi danno a una politica europeista e non può essere buttata via… In Francia devono mettere da parte gli egoismi e costruire un’alleanza larga che funzioni e abbia vita lunga. Se facessero una coalizione che si va a schiantare nell’arco di pochi mesi, o una cosa debole, insulsa, insipida, sarebbe il modo migliore per aiutare Le Pen a vincere le presidenziali». (dal quotidiano “Avvenire”)
Anche l’Europa avrebbe tutto da guadagnare dai risultati di questo laboratorio politico, liberandosi del forzoso connubio tra forze sostanzialmente centriste e forze debolmente e timidamente progressiste, finalizzato al mantenimento dello status quo burocratico e tecnocratico nonché ad una difesa passiva rispetto alle destre populiste e sovraniste. L’equivoco infatti non sta a sinistra ma al centro, vale a dire nello strabico Ppe, che continua a strizzare l’occhio a destra facendo finta di guardare a sinistra. Forse a Strasburgo e Bruxelles c’è bisogno di un doppio compromesso storico che legittimi la sinistra più radicale nonché il centro più moderato.
Qualcosa avrebbe da imparare anche l’Italia. Abbiamo assistito a quello che lo scrittore Christian Salmon ha definito “un risveglio di popolo”, reso possibile dal fatto che la società francese, diversamente da quella italiana, non si è ancora spoliticizzata e ha risposto con partecipazione alla chiamata alle urne. (da MicroMega).
Nel nostro Paese la situazione è diversa: il compromesso storico ai livelli più bassi sta avvenendo tra il centro tajaniano e la destra meloniana, con la Lega a fare più da guastafeste che da paraninfo. Ma di questo mi occuperò prossimamente. Per oggi può bastare così giusto per evitare di disinnescare la bomba francese, che, al contrario, va fatta esplodere in tutta la sua potenziale e travolgente novità democratica.