«Non so cosa esattamente preoccupi la Conferenza episcopale italiana, visto che la riforma del premierato non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa. Ma mi consenta anche di dire, con tutto il rispetto, che non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una repubblica parlamentare, quindi nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo. E quindi facciamo che nessuno si preoccupa». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni, ospite della puntata di Dritto e rovescio, in onda nella serata di giovedì 30 maggio su Rete4, a proposito delle preoccupazioni sollevate dal cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi.
Cosa aveva detto Matteo Zuppi da innervosire così tanto la premier sulle due riforme in discussione, vale a dire il premierato e l’autonomia differenziata? Riavvolgiamo di seguito il nastro.
L’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei nel corso della conferenza stampa di chiusura dell’assemblea generale dei vescovi italiani, a proposito del premierato, attualmente all’esame del Parlamento, aveva sottolineato: «Gli equilibri istituzionali vanno toccati sempre con molta attenzione. Qualche vescovo si è soffermato su questo, esprimendo preoccupazione. A titolo personale posso dire che è necessario tenere presente lo spirito della Costituzione, scritta da forze politiche non omogenee che però avevano di mira il bene comune. Dunque l’auspicio è che ciò che emergerà non sia qualcosa di contingente, cioè che non sia di parte.
Sull’autonomia differenziata, invece, il cardinale non si è espresso direttamente, ma ha detto che c’è preoccupazione. Del resto nel comunicato finale si legge: “Alcuni progetti legislativi rischiano di accrescere il gap tra territori oltre che contraddire i principi costituzionali. È in gioco il bene comune che può e deve essere promosso sostenendo la partecipazione e la democrazia, valori al centro della 50esima Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio». E comunque «non è solo un problema del Sud, ma di tutto il Paese».
Come ha ufficialmente reagito la Cei alla piccata presa di posizione della premier in risposta alle parole di Matteo Zuppi?
Non sono in possesso del testo, ma la Cei ha sostanzialmente affermato che Giorgia Meloni avrebbe preso ben due granchi. Innanzitutto ha confuso la Cei, organo rappresentativo dei vescovi italiani, con la Santa Sede ed ha quindi risposto a vanvera. Il secondo errore della premier consiste nel non accettare le preoccupazioni di un organismo, la Cei, che opera a pieno titolo nel tessuto sociale italiano e che ha tutto il diritto di esprimere le proprie opinioni.
La risposta dei vescovi è molto felpata, ma ben calibrata e tocca nel vivo dell’atteggiamento presuntuoso, ignorante e insofferente alle critiche di Giorgia Meloni. Restando nel metodo, mi sentirei di aggiungere che il riferimento giorgiano ai patti lateranensi la dice lunga sul modo di rapportarsi di questo governo con la Chiesa, che deve starsene zitta ed accontentarsi dei suoi diritti garantiti dal Concordato e semmai guardarsi allo specchio, vale a dire alla forma giuridica dello Stato vaticano.
Mio zio Ennio sacerdote, impegnato eticamente e civilmente contro il fascismo, doveva fare i conti con le idee politiche di una sua sorella, che simpatizzava seppure moderatamente per il Duce. Questa gli rinfacciava di essere contrario al regime, che in fin dei conti aveva difeso e trattato bene la Chiesa con il Concordato. Mio zio si limitava a controbattere con una battuta quasi di compatimento: «A sì? Non me ne ero accorto…».
L’approccio giorgiano ai rapporti fra Stato e Chiesa è quindi di stampo squisitamente fascista (siamo alle solite…), della serie “guardiamo ognuno in casa propria ed ai propri interessi”, il resto, come il premierato e la Costituzione, non vi deve interessare. Roba proveniente dal peggior anticlericalismo fascista e comunista.
A proposito di opposti anticlericalismi mi sovviene un piccolo episodio di cui fu protagonista mio padre. Durante il lungo conclave per l’elezione del papa, che sfociò nell’elezione di Roncalli quale Giovanni XXIII, in caffè dal televisore si poteva assistere al susseguirsi di fumate nere e qualche furbetto non trovò di meglio che chiedere provocatoriamente a mio padre, di cui era noto il legame, parentale e non, con il mondo clericale (un cognato sacerdote, una cognata suora, amici e conoscenti preti etc.): “Ti ch’a te t’ intend s’ in gh’la cävon miga a mèttros d’acordi cme vala a fnir “. Ci sarebbe stato da rispondere con un trattato di diritto canonico, ma mio padre molto astutamente preferì rispondere alla sua maniera: “I fan cmé ai temp dal fascio e in Russia, igh dan la scheda dal sì e basta! “. Oggi, facendo un salto storico di oltre sessant’anni, sono convinto che risponderebbe così: “I fan cmé in Italia: decida tùtt la Meloni e s’nin pärla pu…”.