Emmanuel Macron torna a “porre la questione” di un invio di truppe occidentali in Ucraina se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte nella guerra in corso da oltre 2 anni. In un’intervista all’Economist, che solleva lo stesso polverone già provocato nelle settimane scorse, con gli alleati europei contrari a questa ipotesi, il presidente francese ribadisce che “nulla può essere escluso”.
“Se i russi dovessero sfondare le linee del fronte, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda”, dice Macron, secondo cui “escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, con i Paesi della Nato che avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e caccia a Kiev prima di cambiare idea.
“Come ho detto, non escludo nulla, perché siamo di fronte a qualcuno che non esclude nulla”, ribadisce Macron al settimanale britannico, in un riferimento a Putin. “Probabilmente siamo stati troppo esitanti nel fissare dei limiti alla nostra azione nei confronti di qualcuno che non ne ha più e che è l’aggressore”, afferma il presidente, indicando il suo “chiaro obiettivo strategico: la Russia non può vincere in Ucraina”.
“Se la Russia vince in Ucraina, non avremo più sicurezza in Europa – scandisce – Chi può pretendere che la Russia si fermi lì? Quale sicurezza ci sarà per gli altri Paesi vicini, la Moldavia, la Romania, la Polonia, la Lituania e tanti altri? E oltre a questo, che credibilità abbiamo noi europei che avremmo speso miliardi, che avremmo detto che era in gioco la sopravvivenza del continente e che non ci saremmo dati i mezzi per fermare la Russia? Quindi sì, non dobbiamo escludere nulla”. (Adnkronos)
Le reiterate prese di posizione di Macron sono sostanzialmente in linea con quelle (già commentate) di Stoltenberg, segretario generale della Nato. Non so se siano dovute alla solita smania protagonistica francese (la grandeur), alla volontà di primazia a livello strategico europeo e occidentale, al clima (che sembra irreversibile) di guerra strisciante, all’altrettanto consueta tattica di reagire alle debolezze interne mostrando i muscoli all’esterno, alla candidatura a interlocutore principale di Putin (dalle telefonate si passa alle minacce), alla ricerca di visibilità elettorale in vista della prossima consultazione europea. Probabilmente e irresponsabilmente di tutto un po’.
Non c’è che dire aveva ragione mia sorella Lucia quando, con la sua solita schiettezza di giudizio, si lasciava andare e parlava di “quegli stronzoni di Francesi”: forse non sbagliava di molto. Un conto è essere superiori su basi oggettive (atteggiamento già difficile da accettare), un conto è ritenersi aprioristicamente migliori (atteggiamento da respingere al mittente). Faccio fatica a sopportare coloro che si ritengono primi della classe e lo sono veramente, figuriamoci con quanti si spacciano primi della classe senza esserlo.
Sono convinto che la Francia, come del resto l’Italia, abbia parecchi scheletri nell’armadio da nascondere a livello internazionale e, invece di cercare di instaurare collaborazioni e solidarietà, preferisca la fuga in avanti. Non prenderei quindi sul serio le sparate macroniane, anche se è preoccupante il clima che, bene o male, le giustifica o, quanto meno, le sopporta.
A maggior ragione urgono iniziative concrete e pressanti del governo italiano e dell’Europa alla ricerca di un dialogo, che, se non è un fine in sé e per sé, è almeno un mezzo imprescindibile per raggiungere un clima più costruttivo nei rapporti tra gli Stati.
Purtroppo le pubbliche opinioni non si rendono conto della posta in gioco, pensano ad una guerra sfogatoio, un male (quasi) necessario, ed anche le uscite di Macron vengono inquadrate in questa irresponsabile visuale bellicista di maniera.
Non c’è nessun protagonista sulla scena mondiale che abbia il coraggio di usare efficacemente qualche parola di pace. Sol l’occhio di Sergio Mattarella esprime un guardo di pietà, ond’io guardo a lui e dico: Ecco la bellezza della pace! (libera parafrasi di “Improvviso” da Andrea Chénier di Umberto Giordano – libretto di Lugi Illica).
Si dirà: meglio essere sinceramente profeti di guerra che ipocritamente profeti di pace. Questo è lo schema politico-culturale dominante nel mondo. Non ci sto. Per la pace, come per la salute, non si può mai dire che non ci sia più nulla da fare.
Il noto motto di San Paolo, spes contra spem (Rm. 4,18), “la speranza contro ogni speranza”, può essere ritradotto nel nostro tempo con le parole “essere speranza” per “dare speranza”. Quando la speranza umana viene meno, c’è sempre la speranza teologale che non verrà mai meno. Emanuel Macron si tenga la sua realpolitik, io mi tengo la mia speranza da giocare a livello diplomatico, ma, prima e dopo la diplomazia, anche e soprattutto a livello umano e cristiano.