L’Europa non è bella se non è fascistella

Mia sorella Lucia lasciava perdere gli schemi politici tradizionali, che, a livello europeo, servono a coprire una sostanziale e generalizzata conservazione o addirittura un’opzione reazionaria. Quando andò, in rappresentanza del movimento femminile della Democrazia Cristiana, in visita alle istituzioni europee, tornò a casa estremamente delusa e, col suo solito atteggiamento tranchant, disse fuori dai denti: “Sono tutti dei mezzi fascisti!”. Credo che un po’ di ragione ce l’avesse. Penso volesse dire che non credevano in un’Europa aperta, solidale, progressista e partecipata, ma erano chiusi in una concezione conservatrice se non addirittura reazionaria. Può darsi che da allora la situazione sia addirittura peggiorata. Chissà cosa direbbe oggi alla luce del trumpismo, del populismo e del sovranismo. Lo immagino e non mi azzardo a scriverlo per non esagerare alle sue spalle.  Non vorrei che fossimo costretti a cercare il male minore, vale a dire chi è meno conservatore, meno reazionario, meno fascista: il compromesso ipotizzabile ai livelli più bassi.

Così scrivevo nel 2021 elaborando alcuni ricordi di mia sorella. Pensavo che fosse una donna dotata di acuta intelligenza, di schietta umanità, di particolare sensibilità, ma non del dono della profezia. Invece l’attuale clamoroso esito elettorale dimostra che fu facile profeta: le urne ci consegnano infatti un’Europa mezza fascista o, se proprio volete, fascista tutta intera.

Perché la gente in Europa (quella poca che vota) si schiera sempre più a destra? Credo sia soprattutto una forma di protesta contro l’establishment europeo che sta rovinando la Ue e sta rinunciando ad esprimere una politica degna di tale nome: una protesta che si tinge non tanto di pacifismo ma di generico antibellicismo sul piano internazionale, di populismo dal punto di vista sociale, di sovranismo quale reazione verso il burocratismo e il centralismo che connotano l’Europa.

Siamo cioè all’irrazionale ma convinto “piove, Europa ladra!”. Tutti i maître à penser (a ragione) dicono che la strada dell’integrazione Europea è obbligata: ebbene, la gente, visti i risultati, non ne vuol sapere ed esprime un antieuropeismo molto inquietante. Ne escono malissimo gli attuali governi degli Stati membro (ad eccezione dell’Italia che ha già pagato il biglietto per la destra), ne esce ridotta al lumicino la sinistra (ad eccezione della sinistra italiana, che, nonostante tutto, tiene botta), ne esce a gonfie vele la destra (il Ppe lo colloco a destra perché del centro moderato e cristiano non ha più nulla e continua a raccogliere voti proprio per quello), talmente di destra come più non si può. Sembra quasi un accorato appello a Trump per chiudere il cerchio.

I motivi della protesta ci sono tutti, ma trovano purtroppo illusorio sbocco politico a destra. Della disfatta politica di Macron, sotto-sotto, ci godo. Del sussiegoso equilibrismo tedesco ne ho piene le scatole. E via di questo passo… In Italia la Lega di Salvini si candidava a recepire questo vento estremista, ma non ce l’ha fatta, stoppata dalla furbizia tattica meloniana e dal falso perbenismo forzitaliota.

Come al solito l’Italia preferisce giocare nell’equivoco: siamo di destra, ma solo un pochettino(sic!). Una destra che si legittima, governativamente parlando, col bellicismo atlantista, con il rigorismo europeista e l’internazionalismo di maniera. Una destra a cui nessuno potrà più rinfacciare le simpatie neofasciste, niente in confronto a quelle francesi e tedesche. Una destra, quella italiana, che sparge promesse a cui i nostri concittadini sembrano credere (votando FdI) o non credere (astenendosi sempre più dal voto).

Mia sorella Lucia lasciava perdere gli schemi politici tradizionali, che, a livello europeo, servono a coprire una sostanziale e generalizzata conservazione o addirittura un’opzione reazionaria. Quando andò, in rappresentanza del movimento femminile della Democrazia Cristiana, in visita alle istituzioni europee, tornò a casa estremamente delusa e, col suo solito atteggiamento tranchant, disse fuori dai denti: “Sono tutti dei mezzi fascisti!”.

Un quadro desolante che forse va persino al di là di Cassandra-Lucia. Il quadro istituzionale europeo ne esce sconvolto, a meno che le burocrazie economiche-finanziarie non trovino la quadra nella formazione di un governo sostanzialmente tecnico e di unità assai poco europea, molto filo-atlantico, impegnato in una squallida continuità politica e di mera quadratura dei bilanci nazionali: una scappatoia in cui potrebbe avere un ruolo Mario Draghi (non sarebbe la prima volta che in qualche modo salva l’Europa). E l’Italia, che lo ha messo inopinatamente alla porta, lo vedrebbe rispuntare dalla finestra. E chi ha votato a destra per mandare a casa l’Europa se la ritroverebbe viva e vegeta, impegnata a fare i conti senza tener conto (la tautologia è voluta) di chi soffre socialmente ed economicamente e che non sa a che santo votarsi.

Mia sorella Lucia lasciava perdere gli schemi politici tradizionali, che, a livello europeo, servono a coprire una sostanziale e generalizzata conservazione o addirittura un’opzione reazionaria. Quando andò, in rappresentanza del movimento femminile della Democrazia Cristiana, in visita alle istituzioni europee, tornò a casa estremamente delusa e, col suo solito atteggiamento tranchant, disse fuori dai denti: “Sono tutti dei mezzi fascisti!”.

Parlare degli equilibri politici italiani dopo una simile devastante bufera europea, fa quasi sorridere. Preferisco soprassedere con poche lapidarie battute, anche perché al momento ho esaurito le lacrime di sangue. Giorgia Meloni ha già iniziato ad esultare non capendo che nel bailamme europeo avrà del filo da torcere a galleggiare sui debiti, ad essere determinante per maggioranze europee nuove tutte da inventare, a nascondersi dietro il dito internazionale, a guardare gli italiani senza alcuno schermo protettivo, a tessere fili di collegamento con le periferie al di là della esasperante personalizzazione e ad esprimere una credibile e diffusa presenza di FdI nelle amministrazioni comunali e in tutti i gangli della vita amministrativa. Elementi a suo favore: non avrà più il fiato salviniano sul collo e potrà contare sull’apporto al gioco di squadra che Tajani non le farà mancare (vuoi vedere che andrà a dire e fare niente in Commissione a furor d’Europa?).

Elly Schlein si accontenta di sopravvivere al meglio, di rappresentare assieme all’Alleanza Verdi-sinistra l’unica sinistra che in Europa riesce a galleggiare, di mettere nell’angolo un ridimensionato Giuseppe Conte uscito piuttosto malconcio dalle urne. L’elemento più positivo per il Partito democratico sembra essere il voto meridionale e quello alle elezioni comunali, che confermano il buon radicamento territoriale di questo partito e la sua capacità di esprimere una classe dirigente periferica capace di ripristinare e/o rinsaldare i vincoli con la gente e le sue aspettative.

Il resto è stato spazzato via dal voto, il che non vuol dire che nelle liste duramente sconfitte non ci fossero delle ragioni politiche valide, che gli italiani però non hanno colto.

Ho aperto, ho proseguito e chiudo con mia sorella, per certi versi più netta di me nei giudizi, che direbbe dell’attuale classe politica europea ed italiana, usando una gustosa espressione dialettale: “niént pighè in t’na cärta” oppure “da lôr a niént da sén’na…”.