Le giocatrici “al politico”

Devo confessare che, dal punto di vista mentale, la sto facendo grossa, rischiando la più acrobatica e presuntuosa delle opinioni controcorrente nonché il più volgare dei giudizi maschilisti. Non ne posso proprio più e la sparo a costo di scandalizzare.

Le tanto osannate Giorgia Meloni ed Elly Schlein mi sembrano due bambine che giocano “al politico”. Tra bambini di sesso diverso un tempo si giocava “al dottore”, prefigurando infantilmente i giochi erotici poi sognati nell’adolescenza, realizzati nella giovinezza, sprecati nella maturità e rimpianti nella vecchiaia.

Sono veramente stanco di vedere l’attenzione quasi esclusiva puntata su due donne, che, pur ammettendone le dovute differenze sul piano etico, culturale e politico, pur rischiando un’analisi piuttosto spietata e sommaria (da non prendere alla lettera, ma come provocatorio invito a giudicare spassionatamente), non hanno proprio niente per essere leader credibili: una storia poco interessante, una cultura molto debole, un’esperienza purchessia, una personalità sfuggente, un’eloquenza manierata, una intelligenza modesta, un carisma fumoso. Mi fermo qui.

In realtà sono due leader di cartongesso, due personaggi mediaticamente scelti per riempire il vuoto pneumatico della classe dirigente politica: bisogna pur interessarsi di qualcuno, non si può tacere e allora bisogna inventarsi due Italie per due vincitrici delle elezioni europee (La Stampa).

Per Giorgia Meloni il gioco si sta facendo sempre più difficile: non le basta giocare al politico, vuole giocare allo statista, nonostante i continui e inquietanti impeachment a livello di neofascismo, sui quali  non trova di meglio che farsi scudo dietro gli indecenti Italo Bocchino e Mario Sechi (specializzati nella difesa dell’indifendibile) o glissare per evitare guai peggiori oppure tacere per non perdere la faccia verso il suo impresentabile zoccolo duro che tuttavia le dà voti e soprattutto le garantisce la continuità con un tesoretto storico-culturale inconfessabile ma irrinunciabile.

L’unica vincitrice tra i premier europei e mondiali, usciti malconci dalle urne o comunque assai deboli come protagonisti al limite dei comprimari, deve illudersi di poter essere una primadonna e molti la considerano tale e la stanno spingendo sulla scena convincendola, semmai non lo fosse già in proprio, di essere la miglior fica del bigoncio.

Vorrei capire su quali basi la giudicano intelligente, in che senso la considerano furba, come fanno a sopportarne l’arroganza, con quale coraggio la vedono una donna decisa (a cosa?), con quanta generosità la vedono adatta a guidare un Paese in una fase storica così drammaticamente problematica.

Personalmente sono rimasto al giudizio lapidario che ne diede Edith Bruck, non certo l’ultima arrivata, all’indomani della sua vittoria nelle elezioni politiche del settembre 2022: «Le donne devono avere accesso alle più alte cariche dello Stato. Meloni sarà la prima donna premier (in Italia n.d.r.) e questo non è un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini: tendono a volerli superare, e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate. Nei campi di concentramento, le kapò che ho incontrato erano peggiori degli uomini: inumane, cattive. Non è un fatto strutturale, naturalmente, ma di contesto. Non sono sicura che il Paese sia maturo abbastanza per lasciare che una donna al posto di comando riesca a essere chi è davvero. Meloni è circondata da uomini di un certo tipo, lavora in una struttura di un certo tipo. È amata da chi le dice cose terribili come “hai le palle”, cioè: vali perché sei come un uomo». (dal quotidiano La Stampa del 27 settembre 2022)

Invito chi mi legge a verificare il giudizio di Edith Bruck alla luce di questi quasi due anni di premierato meloniano. Potremmo dire: come volevasi dimostrare. Ha ancor più persone intorno a tutti i livelli che la ritengono dotata di palle, mentre in realtà le uniche sono quelle che racconta e che molti credono, non so fino a quando. Ha pessimi consiglieri che non la aiutano a governare, ma solo a vincere (se vincere può voler dire anche perdere oltre 600.000 voti). I media di cui si è proditoriamente impadronita la incensano a più non posso, gonfiano la mongolfiera, saltano sul carro del vincitore prima e dopo averla issata sul carro.

Se Berlusconi era un leader di plastica, Giorgia Meloni non è da meno, infatti, come dice simpaticamente Marco Travaglio, ne è un clone, aggiungo io, a dispetto del “Santo” di Arcore. Non so se piaccia veramente alla gente che la vota, forse i più la stanno a guardare e la sopportano in attesa che da bambina viziata si trasformi in vera donna con tutte le auto-conseguenze del caso.

E passiamo ad Elly Schlein. Se la Meloni mi indispettisce a prescindere dal neofascismo che sta nel suo dna e che si trasforma in autoritarismo che sprizza dai pori della sua pelle, la segretaria del PD mi fa compassione dal tanto che mi appare inadeguata al ruolo. Ad Elly Schlein si attaglia la gag calcistica immaginata da mio padre: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion » (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica.

Non ha il carisma, la preparazione, la sensibilità e la personalità che sarebbero necessarie per guidare un partito di sinistra. Mio padre (e dalli…) a volte, quando era costretto ad esprimere giudizi su diverse persone nei vari campi in cui operavano (politica compresa) si accontentava di concedere sommessamente e solamente: «Al ‘n é miga un gabiàn…». Non ho approfondito e stabilito da dove venisse questo suo modo di dire: probabilmente il richiamo al “gabbiano” era dovuto al fatto che questo uccello si diverte a rovistare nella spazzatura, nel “rudo” e quindi non dimostra di essere un mostro di furbizia. Per Elly Schlein possiamo concludere che non è una gabbiana: poco per essere la rappresentante in pectore di un’altra Italia.

Come abbia fatto a scalare la cima del monte piddino resta tuttora un mistero: il fascino della novità in mezzo alla più vuota continuità, una donna giovane che imbarazza gli uomini del partito, una ventata di aria fresca sotto la cappa di aria pesante. Ho cercato ripetutamente e seriamente di trovare questi elementi di speranza, ma non li ho trovati. Qualcuno mi dice che sono schiavo di un passato legato a personaggi di statura politica altissima e quindi rischio di essere un nostalgico. Un po’ è vero, lo ammetto, ma senza tirare in ballo i mostri sacri del pantheon piddino (Moro, Berlinguer e Prodi per tutti), venendo ad un passato più recente vale a dire ai Veltroni, Franceschini e Bersani (mi fermo lì perché effettivamente dopo c’è stata una contradditoria successione di personaggi comunque di livello), emerge un gap qualitativo incolmabile anche con le migliori intenzioni.

Elly Schlein è umanamente assai più accettabile di Giorgia Meloni, è portatrice di una linea politica lontana mille miglia dall’inqualificabile e insensato populismo di destra della Meloni, non ha scheletri nell’armadio della storia come succede al partito di Fratelli d’Italia, che pensa di coprire tutto con i consensi elettorali (chi è votato infatti non ha sempre ragione, addirittura in breve volgere di tempo può passare dall’altare alla polvere con la risurrezione persino eccessiva degli scheletri sepolti o dimenticati).

Anche lei però, pur concedendole un’ammirevole umiltà e una trasparente sincerità, mi dà l’impressione di improvvisarsi o di essere improvvisata come fantomatica salvatrice del popolo della sinistra, di giocare a fare il segretario del PD e la federatrice dell’area di centro-sinistra. Ultimamente ha finalmente detto qualcosa di sinistra a trecentosessanta gradi esprimendo, come scrive Annalisa Cuzzocrea su La Stampa, preoccupazione per le diseguaglianze del Paese, per i problemi di chi ha un lavoro precario e non ha casa, di chi è italiano a tutti gli effetti e non ha cittadinanza, di chi ha bisogno di cure e non se le può permettere, di chi si sente escluso e va tenuto dentro. Non basta per trascinare un partito, per assemblare un’area, per convincere gli elettori, per candidarsi a governare un Paese.

Queste due donne si stanno sostenendo e valorizzando a vicenda: il discorso è pilotato da Meloni e subìto, in un certo senso, da Schlein. La personalizzazione dell’una aiuta la personalizzazione dell’altra!? Personalizzano senza personalità. Rischiano di brillare tatticamente di luce riflessa. Può andar bene per chi ha (Meloni) un concetto pragmatico dell’esercizio del potere, non è assolutamente raccomandabile a chi dovrebbe avere (Schlein) un concetto ideale di potere al servizio della (povera) gente.