La trappola dei Viganò

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, è sotto processo per scisma da parte del Dicastero per la dottrina della fede. Lo ha comunicato ieri lo stesso presule sul suo account X pubblicando anche il decreto di citazione del Dicastero vaticano guidato dal cardinale Victor M. Fernandez.

Secondo tale decreto Viganò si sarebbe dovuto presentare – cosa che non ha fatto – ieri pomeriggio (o nominare un suo difensore) alle 15.30 per «prendere nota delle accuse e delle prove circa il delitto di scisma di cui è accusato (affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica: negazione della legittimità di papa Francesco, rottura della comunione con Lui e rifiuto del Concilio Vaticano II)». Nel caso di mancata comparizione o di una difesa scritta presentata entro il 28 giugno, recita il decreto, l’arcivescovo «sarà giudicato in sua assenza».

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Viganò viene accusato di non riconoscere la legittimità del Pontefice né quella dell’ultimo Concilio. L’arcivescovo Viganò in un lungo comunicato ha dichiarato di considerare le accuse rivoltegli «come un motivo di onore». «Credo – ha soggiunto – che la formulazione stessa dei capi d’accusa confermi le tesi che ho più e più volte sostenuto nei miei interventi. Non è un caso che l’accusa nei miei confronti riguardi la messa in discussione della legittimità di Jorge Mario Bergoglio e il rifiuto del Vaticano II: il Concilio rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi». Monsignor Viganò non ha mancato di paragonarsi all’arcivescovo Marcel Lefebvre che «cinquant’anni fa, in quello stesso Palazzo del Sant’Uffizio», venne «convocato e accusato di scisma per aver rifiutato il Vaticano II». «La sua difesa è la mia, le sue parole sono le mie, – ha dichiarato Viganò – miei sono i suoi argomenti dinanzi ai quali le Autorità romane non hanno potuto condannarlo per eresia, dovendo aspettare che consacrasse dei vescovi per avere il pretesto di dichiararlo scismatico e revocargli la scomunica quando ormai era morto. Lo schema si ripete…».

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Sulla vicenda è intervenuto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. «Monsignor Viganò – sono state le parole del porporato vicentino – ha assunto alcuni atteggiamenti a cui deve rispondere. È normale che la Dottrina della fede abbia preso in mano la situazione e stia svolgendo quelle indagini che sono necessarie per approfondire questa situazione stessa. Ha dato a lui la possibilità anche di difendersi». Il cardinale Parolin ha voluto aggiungere anche una nota a livello personale. «Mi dispiace tantissimo – ha detto -, io l’ho sempre apprezzato come un grande lavoratore molto fedele alla Santa Sede, in un certo senso anche di esempio, quando è stato nunzio apostolico ha lavorato estremamente bene, cosa sia successo non lo so». (dal quotidiano “Avvenire” – Gianni Cardinale)

Innanzitutto mi auguro che monsignor Viganò, nel formulare le proprie idee e nel lanciare le sue accuse, sia in buona fede, perché altrimenti sarebbe da squalificare in partenza senza appello. Lo spero per la sua coscienza e per la sua vita.

In secondo luogo, a prescindere dal merito delle tesi che gli vengono contestate, sono assolutamente contrario allo stile inquisitorio seppure riveduto e corretto a livello di Dicastero per la dottrina della fede. La Chiesa non può e non deve adottare simili procedure, tuttalpiù deve cercare testardamente di dialogare e, allorquando il dialogo diventa impossibile, deve interrompere il collegamento e la collaborazione, ma senza scomuniche o robe del genere. La carità cristiana non ha limiti anche se non si deve trasformare in buonismo, ma deve rimanere il leitmotiv della sinfonia ecclesiale.

In terzo luogo vorrei ricordare quello che disse Gamaliele, un rabbino ebreo del I secolo d.C., maestro di Paolo, prendendo le difese degli apostoli, quando comparvero davanti al Sinedrio (At 5,34-39 ) per rispondere alle implacabili inchieste scatenate contro i seguaci di Gesù i primi tempi dopo la sua morte: «Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!» (At 5, 38-39).

Vale anche paradossalmente per chi come monsignor Viganò le spara veramente grosse. Non ci sarà bisogno di scomodare l’ex Sant’Uffizio per snidare le falsità e le follie di un vescovo, che temo possa essere stato ed essere tuttora strumentalizzato contro l’impostazione pastorale di papa Francesco. Lo lascerei dire per vedere dove arriva e se c’è qualcuno dietro di lui che fa un gioco sporco. Nella Chiesa purtroppo c’è posto anche per queste cose: per evitarle vediamo però di non fare tuffi nel passato (forse è proprio quello a cui punta Viganò) e di non ricadere nel controproducente clima inquisitorio e intimidatorio.

Ricordiamoci cosa disse Gesù a Pietro che lo voleva difendere da chi lo stava arrestando: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?». Sono sicurissimo che lo direbbe anche riguardo alla spada sguainata dal Vaticano contro Viganò.

Nel merito delle tesi di questo personaggio non mi sembra, nel modo più assoluto, il caso di entrare. Per me il problema non sta nel fatto che il Concilio Vaticano II sia un cancro, ma semmai il cancro consiste nell’averlo in parte devitalizzato e nel non averlo ancora adeguatamente accolto e attualizzato nella vita della Chiesa. Facciamo questo e poi i Viganò di turno potranno andare tranquillamente al diavolo senza bisogno di mandarceli con procedure punitive ad hoc.