Guerra no, ribellione sì

Giorgia Meloni via Facebook accusa la sinistra di usare toni da «guerra civile», visto che dai pentastellati citano per lei piazzale Loreto – «mi vorrebbero massacrata e a te sta in giù», dice – e sull’autonomia (e le altre riforme in ballo come il premierato) la premier non fa sconti. «Contro tutte queste riforme, la sinistra, di ogni colore, è scatenatissima. Ci accusano di ogni possibile nefandezza. Sul premierato ci accusano di deriva autoritaria poi – la stoccata – si scopre che lo proponeva anche il Pds di Achille Occhetto circa 30 anni fa. (dal quotidiano “Avvenire”)

Mentre Giorgia Meloni grida al lupo della guerra civile, io desidero ardentemente la ribellione civile contro il suo modo di governare e contro i contenuti sostanzialmente anticostituzionali della sua azione di governo. È riuscita a rendersi ancora più inaccettabile di Silvio Berlusconi: il che è tutto dire!

Quali sono i motivi che suscitano in me questa ribellione, che va al di là del semplice dissenso. C’è in filigrana sempre e comunque la questione del neofascismo, che non è soltanto nostalgia da parte delle sue truppe giovanili, che non è solo incidente da parte dei suoi sodali, che non è una vaga reminiscenza storico-culturale, ma un modo di interpretare la politica che si esprime ad ogni piè sospinto.

Il tema dell’ordine pubblico viene impostato col metodo della repressione; quello della socialità col metodo della divisione; quello economico col metodo del favoritismo; quello istituzionale col metodo dell’accetta; quello del dialogo col metodo della menzogna. Di fronte a questo scempio è più che normale una certa ribellione, che può assumere anche toni eufemisticamente ineleganti.

L’aggressività e la prepotenza al limite della violenza verbale, usate a piena gola dalla premier, innescano un clima di insofferenza reciproca, che non è affatto democratica, ma che diventa irresistibile.

Può essere significativo al riguardo il fatto che all’indomani di una netta sconfitta elettorale ai ballottaggi delle elezioni comunali il presidente del Senato Ignazio La Russa auspichi tout court un cambiamento della legge elettorale: della serie le regole democratiche me le faccio io e guai a chi ha il coraggio di contestarmi.

Il chiudere sempre i discorsi facendosi forza del consenso elettorale per tappare la bocca a chi osa dissentire non è certamente un atteggiamento democratico, a parte il fatto che il consenso non è poi così largo e convinto da giustificare questo strisciante trionfalismo.

Se non erro mi sembra che Winston Churchill sostenesse che la democrazia comincia il giorno dopo delle elezioni. In Italia lo si smentisce instaurando un clima elettorale permanente che distrugge la democrazia; ma non solo, si governa col pallottoliere, con l’occhio rivolto non al Paese intero ma alle fette sociali di riferimento. Questi, per dirla fuori dai denti, sono i presupposti per un regime autoritario con tanto di spregiudicato uso dei media.

Non mi interessa niente se Achille Occhetto fosse o meno d’accordo sul premierato. Il discorso è molto serio e preoccupante e non va svilito a livello di rinfacciamenti più o meno appropriati. Questa riforma così come viene posta e contestualizzata dall’attuale governo è un vero e proprio attentato alla Costituzione.

E poi si vorrebbe che le opposizioni usassero i guanti di velluto? che chi protesta lo facesse con la sordina? che chi dissente si rassegnasse all’instaurazione di un regime in via di progressiva combinazione antidemocratica?

Sarà bene che gli italiani si diano una mossa. Se andiamo avanti di questo passo scoppieranno ben altre proteste rispetto a quelle attuali fin troppo contenute. Almeno me lo auguro. Un netto e inequivocabile no alla violenza, ma un convinto sì alla protesta e, se necessario, alla ribellione civile. Toccherà alle forze politiche e sociali interpretare il malcontento non per stopparlo o assorbirlo, ma per trasformarlo in proposte alternative in difesa della costituzione e della democrazia.