Avere le riforme in pugno

Altro che dialogo. Sulle riforme si consuma una delle pagine più tristi della storia parlamentare. Tra violenza fisica, violenza verbale e violenza di gesti tristemente evocativi, alla Camera dei deputati si perde il senso della misura, e la battaglia sull’autonomia differenziata sfugge non solo al bon ton (cosa tutt’altro che nuova negli emicicli), ma va oltre i limiti della decenza. La segretaria del Pd Elly Schlein chiede l’interruzione dei lavori, impossibili «in un clima di violenza». Lo stesso grida il presidente di M5s Giuseppe Conte. Sconcertato, il presidente della Camera Lorenzo Fontana sospende i lavori e convoca la conferenza dei capigruppo. 

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Dopo un nuovo stop, il pentastellato Leonardo Donno va verso il ministro Calderoli e gli porge la bandiera nazionale. Calderoli la schiva, pur trattandosi del Tricolore (salvo poi spiegare: «Non bisogna mai cadere nelle provocazioni. Non so con che intenzioni uno si avvicini»). Ed è lì che scoppia la rissa in cui si “distingue” il leghista Igor Iezzi, che sferra diversi pugni. Donno crolla a terra, poi lascia l’emiciclo su una sedia a rotelle. In serata citerà tra i suoi aggressori anche Candiani (Lega) e Cangiano e Amich di Fdi. Dall’ospedale Santo Spirito, dove è stato condotto per accertamenti, ha resto noto l’intenzione di denunciarli: «Mi hanno colpito allo sterno, mi hanno tolto il fiato». (dal quotidiano “Avvenire”)

Le riforme devono passare a tutti i costi: ringalluzziti dal risultato elettorale i parlamentari di FdI e Lega la mettono giù dura, passano alle vie di fatto. Ma cosa volete che sia una scarica di pugni ad un avversario politico!? Un incidente di percorso. Andiamo pure avanti così, da cosa nasce cosa e alla fine dove si arriverà non si riesce a capire. Qualcuno sorride, riducendo il tutto alle solite manfrine parlamentari, fidandosi degli anticorpi democratici in grado di resistere ai colpi intimidatori. La nostra democrazia ha gli anticorpi, ma come succede per i virus, anche se uno è vaccinato, non per questo deve sottovalutare il rischio di ammalarsi di nuovo.  E la democrazia italiana mi sembra a rischio virale forte.

Sarà squadrismo? La storia tenderebbe a dire di sì e imporrebbe una seria presa di distanza. Ma cosa volete mai, la premier Meloni è in tutt’alte faccende affaccendata, il presidente della Camera non sa nemmeno quel che sta facendo, in molti si sono montati la testa e pensano che i dibattiti parlamentari siano un lusso per i radical-chic, che il popolo ne abbia piene le scatole dei riti e voglia politici che vanno per le spicce, che Giorgia… uber alles.

La storia si ripete con maschere diverse e oggi abbiamo il nazionalpopulismo che è diverso dal fascismo perché non si scaglia violentemente contro la democrazia ma più perversamente la vuole smantellare sventolandone il vessillo, come l’indipendentismo catalano che ha ingannato tutti spacciandosi per democratico. Come le destre europee che non vogliono più uscire dall’Ue ma svuotarla da dentro. Serve spiegare, oggi più che mai. (La Stampa – dall’intervista a Javier Cercas, scrittore spagnolo)

Nel mio piccolo sono perfettamente d’accordo, anche se certe manifestazioni esterne e sintomatiche di fascismo all’antica possono essere un corollario al nazionalpopulismo moderno. Ecco perché preferisco, come si suol dire, stare nei primi danni e con le antenne ben dritte.

Mi permetto di dare un consiglio ad Elly Schlein: attenzione a non farsi tirare nella presuntuosa e devitalizzante reciproca legittimazione. Attenzione a non sacrificare la sacrosanta intolleranza verso metodi di stampo fascista e verso contenuti di tipo nazionalpopulista sull’altare del riconoscimento del Pd quale interlocutore egemone. Potrebbe essere una trappola fatale!

Tollera oggi, tollera domani, un saluto fascista oggi e uno domani, una sottovalutazione oggi e una domani: non dimentichiamoci che sul fascismo e i suoi metodi non si può scherzare anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna rischia grosso, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.