La recente spacconata di Giorgia Meloni merita un supplemento di commento. “Nessuno mi chieda di scaldare la sedia o di stare qui a sopravvivere, non sarei la persona giusta per ricoprire questo incarico”.
Mi sovviene l’aneddoto relativo alle disavventure professionali di un funzionario pubblico, che si dava da fare (non era un assenteista, tutt’altro), ma finiva col combinare disastri, al punto tale che il suo capo, dopo avere registrato lamentele e proteste degli utenti, fu costretto a chiamarlo a rapporto. Gli disse perentoriamente: «Lei non faccia niente, legga il giornale, guardi fuori della finestra, quando proprio non sa come fare a passare il tempo, dorma! Le farò mettere un comodo divano letto nella sua stanza…».
Mi sembra si stia scivolando verso questa paradossale china. Abbiamo un presidente del Consiglio talmente attivo da augurarsi che non faccia niente, altrimenti sono guai seri.
La premier Giorgia Meloni è tornata sui social con una nuova puntata della rubrica «Gli appunti di Giorgia», dopo un lungo periodo di assenza. La diretta social della leader di Fratelli d’Italia si apre con un primo attacco alle polemiche sulle presunte pressioni del governo sulla Rai. Così la premier ironizza sul nome della rubrica «che ho deciso di ribattezzare “Telemeloni”, perché l’unica “Telemeloni” è questa». (da Open giornale online)
In questa agenda del “faso tutto mi” sarebbe più che opportuno inserire la pubblicità di Poltronesofà (quella con tanto di passerella di vip osannanti alla qualità dei divani in costante vendita promozionale). Meloni potrebbe avere così la consacrazione di donna politica prestata allo spettacolo e di premier che si riposa a Palazzo Chigi su divani di qualità. Tutti tireremmo un sospiro di sollievo: meglio sprofondata in un divano di qualità che impegnata in lavori scadenti.
Si fa un gran parlare di populismo, di sovranismo, di democratura e di capocrazia: noi italiani stiamo già provando tutto, non abbiamo più carte da giocare. Gli elettori dormono, la politica non conta nulla, la premier non vuole essere disturbata.
In una famosa intervista uscita su un quotidiano il 26 marzo del 2001, Indro Montanelli, il più famoso dei giornalisti così rispondeva: “Guardi: io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L’immunità che si ottiene col vaccino”.
Pensavamo di essere super vaccinati ed immunizzati rispetto al berlusconismo, invece ecco rispuntare il virus con la variante Meloni, che preoccupa perché è più trasmissibile e sfugge ai vaccini: gli italiani sono ammalati o rischiano di ammalarsi, ma non se ne accorgono e ascoltano ogni giorno presunti liberali tuttofare che operano da estremisti del “lasciatemi fare”.
Ci sarebbero tante cose urgenti di cui occuparsi al governo, invece per chi sta a palazzo Chigi è meglio (s)parlare di Costituzione. La Carta, che dovesse mai uscire dal massacro costituzionale iniziato in Parlamento e dalla mancata Resistenza al melonismo, avrebbe la seguente premessa: “Chi ci separerà dall’amore di Giorgia? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di Colei che ci governa. Dobbiamo stare sicuri che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Giorgia” (irriverente ma eloquente parafrasi di un passo della lettera di san Paolo apostolo ai Romani).