Il verdetto era atteso, adesso è anche ufficiale. Donald Trump è eleggibile alle primarie repubblicane in Colorado e così la sua corsa per diventare il candidato del Grand Old Party che sfiderà Joe Biden alle prossime Presidenziali sembra non avere altri ostacoli davanti. Mentre il tycoon continua a inanellare successi, interrotti solo dalla vittoria di Nikki Haley a Washington DC, le speranze dell’ex rappresentante permanente all’Onu di sconfiggerlo anche grazie alle sentenze dei giudici svaniscono di colpo. “Una grande vittoria per l’America”, ha esultato The Donald.
A mettere fine al dibattito è stata la Corte Suprema federale che, dopo il ricorso dell’ex presidente contro la sentenza del tribunale del Colorado, uno degli Stati che lo aveva considerato ineleggibile, ha deciso di ribaltare la decisione. Non era legittima, quindi, quella della corte statale di escluderlo dalla corsa alle primarie repubblicane per il suo ruolo nell’assalto a Capitol Hill sulla base del 14esimo emendamento che vieta le cariche pubbliche ai funzionari coinvolti in insurrezioni contro la costituzione. La sentenza, adesso, farà da precedente anche per tutti gli altri ricorsi pendenti negli altri Stati. (da “Il Fatto Quotidiano”)
Se questa è la democrazia americana, spero ci possa essere qualcosa di meglio in giro per il mondo, anche se non ci spererei troppo. Siamo infatti in presenza di una sentenza politica emessa da una corte politicizzata. La giustizia negli Usa è molto politica-dipendente e quindi si intromette in modo smaccato nelle vicende politiche. Teniamoci ben stretta la nostra autonomia della magistratura: i giudici italiani avranno tanti difetti, ma non sono asserviti al potere politico.
Non so cosa avrebbe dovuto combinare Trump per essere ineleggibile più di quanto non abbia già combinato. Forse doveva ammazzare Biden e allora… A questo punto la palla è in mano agli americani, chi li capisce è bravo. Qualcuno reagisce dicendo che si arrangeranno. Nossignori, ci arrangeremo tutti, in primis noi italiani, cittadini di uno Stato storicamente e rigidamente allineato con gli Usa.
Dalle elezioni americane dei prossimi mesi non arriveranno solo schizzi, ma autentici diluvi. Faccio fatica ad immaginare cosa comporterà in tutto il mondo una nuova presidenza Trump: certamente una chiusura sovranista in un mondo che avrebbe bisogno di collaborazione e solidarietà fra gli Stati; un reflusso autoritario in un mondo che dovrebbe riscoprire il bello della democrazia.
Fino a qualche tempo fa osservando certe manifestazioni esteriori della società americana, pur con parecchie perplessità, finivo con l’esprimere un giudizio frettoloso ma speranzoso: sono americani, ma in fin dei conti sono democratici. Non mi sento più di rilasciare questa cambiale (quasi) in bianco. Negli Usa spira un vento anti-democratico di cui il miglior interprete è sicuramente Donald Trump.
Non è che Joe Biden brilli di democrazia anche se quattro anni or sono aveva dato qualche timida speranza: una grande delusione! E il partito democratico non riesce a trovare un candidato migliore, rischiando il disastro. Il giornalista Federico Rampini, grande esperto di cose americane, sintetizza brutalmente l’attuale corsa alla Casa Bianca come lo scontro fra un deficiente e un delinquente. Non c’è bisogno di spiegare chi sia l’uno e chi sia l’altro. Capisco il significato ed il realismo di questa iperbolica rappresentazione e mi permetto di aggiungere come gli americani stiano a guardare o addirittura arrivino a schierarsi follemente per l’uno e/o a deridere masochisticamente l’altro. Sembra un po’ la scena che mio padre descriveva con molta gustosa acutezza: «Se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón».
Non riesco a collocarmi cinicamente a metà strada fra i due contendenti. Nonostante tutto mi turerò il naso a distanza e farò il tifo al ribasso per Biden, ma solo perché putost che Trump (niént äd bón pighè in t’na cärta spòrca) è mej Biden (putost = “da lu a niént da sén’na…”).
Ci sono due passaggi elettorali che dal punto di vista dei rapporti internazionali ci interessano e ci coinvolgono: le elezioni del Parlamento europeo e le elezioni presidenziali americane. Quale Europa uscirà dalle urne? Molto probabilmente un’Europa nel segno della penosa continuità se non addirittura della sconvolgente novità (le destre, sull’esempio italiano, potrebbero sbancare o quanto meno entrare prepotentemente in gioco). Molto probabilmente gli Usa riveduti e scorretti in disgustosa salsa trumpiana.
E noi stiamo ad interrogarci come se la caverà Giorgia Meloni in questi scenari tanto problematici. Niente paura! Tutto sommato rischia di essere vincente su tutti due i banchi: l’Europa spostata a destra la vedrebbe protagonista non certo secondaria; gli Usa in mano a Trump la vedrebbero allineata e coperta. E, se per caso non ci fossero cambiamenti importanti, avrebbe in ogni modo un opportunistico posizionamento. E noi italiani? Chi è causa del suo mal pianga se stesso! Mio padre diceva pianga me stesso. Era uno strafalcione voluto, significativo e finanche profetico.