Dargen D’Amico ha lanciato il sasso e poi ha ritratto la mano. Niente da fare: non ci sono più i cantanti engagé di una volta. Dopo aver pronunciato un convintissimo appello pacifista sul palco dell’Ariston (in favore di Gaza, ovviamente), il cantante in gara al festival di Sanremo 2024 si è affrettato a negare di aver effettuato un intervento politico. “Ho fatto tante cazzate nella mia vita, ho commesso molti peccati, anche gravi, ma non ho mai pensato di avvicinarmi alla politica”, ha affermato l’artista durante la seconda serata della kermesse. (ilGiornale.it)
Non so nel modo più assoluto chi sia Dargen D’Amico e mi interessa ancor meno cosa succede al Festival di Sanremo (fini a quando non partono messaggi culturali clamorosamente nocivi contro cui bisogna comunque reagire) , ma che questo signore dal palcoscenico faccia del populismo da strapazzo a manca e a destra mi disturba: il fatto che da un giorno all’altro capovolga il suo discorso significa che non ha cultura, né in senso generale né in senso politico.
È questa la guerra meloniana contro il pensiero unico della sinistra? Sono questi i personaggi che la Rai, fino a prova contraria un servizio pubblico, mette in vetrina? É l’ignoranza la miglior cultura politica? L’anno scorso ci fu la polemica contro Fedez per il suo bacio omosessuale, aspetto a vedere se scoppia la polemica sulla cazzata antipolitica di D’Amico. Penso che sia molto più pornografica la dichiarazione di astio anticulturale contro la politica che la indecente trasgressione contro il senso del pudore.
Monsignor Riboldi, vescovo di Acerra, parecchi anni or sono, durante un convegno affermò di preferire la pornografia pura a certi spettacoli televisivi ammantati di perbenismo. Vorrei applicare questa sua affermazione alla deriva Rai: preferisco certi spettacoli a luci rosse alle subliminali, continue e gossipare menate di programmi vuoti come calze, ma formalmente inattaccabili.
Cosa voglio dire? Che da un programma che si presenta per quello che è posso difendermi a ragion veduta, mentre verso i programmi perbenisti, ma sostanzialmente negativi, che giorno dopo giorno immettono falsa cultura non c’è difesa. La (non) cultura uscente dal festival di San Remo è a tale scopo emblematica.
Troppi soldi, troppa audience, troppa pubblicità, troppa futilità, troppe sciocchezze, troppe chiacchiere. La televisione sarebbe una cosa seria. Quella pubblica lo dovrebbe essere due volte. Invece… È perfettamente inutile scandalizzarsi delle punte dell’iceberg. Nella televisione tutto fa spettacolo meno lo spettacolo.
Quando in un contenitore si vuol far entrare di tutto non può che traboccare. Il fatto grave è che alla sciocca e opportunistica autodifesa di D’Amico il pubblico abbia riservato una qualunquistica standing ovation. Quanti erano irritati per l’appello pacifista si sono calmati e si compiacciono per la retromarcia sull’onda dell’antipolitica. Se si poteva salutare favorevolmente un rigurgito politico in mezzo al piattume spettacolistico, un simile voltafaccia in cerca di consenso fa a dir poco schifo: rovinato tutto!
Ricordiamoci, come afferma il politologo Carlo Galli, che l’antipolitica è la peggior forma di politica e che quindi Sanremo, tra le tante cazzate che sta propinando agli italiani, sta facendo un perfetto assist all’antipolitica e sta dando una spinta alla peggior politica. Va bene così? A Giorgia Meloni e c. probabilmente sì. È Sanremo, stupido!