Sgarbi è incompatibile con l’incarico di governo, in quanto viola la legge Frattini sul conflitto d’interessi. E lette le 60 pagine di contestazioni, più esponenti della maggioranza avevano tirato un sospiro di sollievo: «Almeno questa bega ce la siamo levata di torno», è il pensiero raccolto a taccuini chiusi. Non è chiaro se le mosse che Sgarbi aveva portato avanti finora fossero improvvisate o facessero parte di una strategia ponderata. Di fatto, ora, pur ribadendo l’addio il critico d’arte è partito al contrattacco. Prima ha evocato il dietrofront, poi ha spedito a Palazzo Chigi, con carta intestata del ministero della Cultura, una lettera combattiva in cui sfida la premier Meloni: «Se il governo, per mano di un suo ministro (ripeto: di un suo ministro), ha promosso una indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo (peraltro in base alla lettera anonima di un pluripregiudicato), è giusto che io chieda all’Antitrust che si estenda l’indagine a tutte le istituzioni, con gli stessi criteri». Parole che suonano come più di un altolà: occhio, che se si indaga su qualcun altro nel governo, chissà cosa troviamo. (dal Corriere della sera – Claudio Bozza)
Da un certo punto di vista non si può dare torto a Vittorio Sgarbi, che, col balletto delle sue dimissioni/ricorso/autosospensione sembra sollevare un polverone sul governo e sui suoi eventuali ulteriori casi di conflitto di interessi: non è il tipo da passare come vittima sacrificale per la salvezza governativa. C’era da aspettarselo. Adesso potrebbe venire il bello, perché credo che Sgarbi non sia un caso isolato e stia piazzando una buccia di banana a portata di piede di Giorgia Meloni. A volte basta poco per andare in difficoltà: generalmente vale il proverbio “Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”.
La premier ci poteva e doveva pensare prima: la presunzione probabilmente le ha giocato un brutto scherzo nel senso di ritenersi libera di piazzare nel governo chi le pareva a prescindere dalle regole e dalle competenze. Tutti i giorni c’è una grana. Fino a quando? La sindrome del capo la sta condizionando. Si trova a dover fronteggiare le imbarazzanti posizioni dell’ex compagno di vita, i boomerang “dell’amichettismo”, le marachelle di Lollobrigida, le porcherie istituzionali di Andrea Delmastro, i peccati imprenditoriali di Daniela Santanché, le smanie da pistolero di Emanuele Pozzolo, le insulse uscite di Gennaro Sangiuliano, le sparate giornaliere di Matteo Salvini, per non parlare delle amicizie imbarazzanti dei fuoricasa alla Viktor Orbàn, etc. etc.
Sono tali e tanti questi inconvenienti governativi da impormi di solidarizzare, almeno psicologicamente, con Giorgia Meloni e, per dirla con Giuseppe Giusti e il suo Sant’Ambrogio, qui, se non fuggo, abbraccio la Meloni, colla su’ brava bacchetta magica, dura e piantata lì come una donna in carriera.