Col pil in calo si prevede un ulteriore buco da 10 miliardi nei conti pubblici. Bruxelles non chiederà una manovra correttiva, ma la frenata del Pil svuota le casse del Tesoro. Meloni spera in un ammorbidimento di Lagarde e si prepara ad accelerare sulle privatizzazioni (dal quotidiano “La Stampa”), dopo aver puntato sul (udite, udite…) gioco d’azzardo.
Ci risiamo. Il governo torna a utilizzare l’azzardo per coprire nuove spese. In particolare per le emergenze. Facendo spendere di più gli italiani, che già nell’azzardo hanno buttato via nel 2022 ben 140 miliardi, una cifra destinata ad aumentare nel 2023. Non una novità, visto che quasi tutti i governi lo hanno fatto, ma quello di destra-centro si ripete appena 6 mesi dopo un primo provvedimento. Nel decreto milleproroghe approvato dal Consiglio dei ministri di giovedì è contenuta la proroga della quarta estrazione settimanale di Lotto, Superenalotto, 10eLotto, Simbolotto e SuperStar prevista dal decreto legge 01 giugno 2023, n. 61 per finanziare la ricostruzione dell’Emilia Romagna alluvionata.
Doveva durare fino al 31 dicembre 2023, ma come prevedibilissimo perché già accaduto nel passato, è arrivata la proroga per tutto il 2024, con una motivazione molto più ampia. Infatti, come si legge all’articolo 3 comma 8 del decreto milleproroghe, «le maggiori entrate derivanti sono destinate al Fondo per le emergenze nazionali», gestito dalla Protezione civile. Dunque non solo per l’alluvione emiliano romagnola, ma per altre future emergenze. Una giusta causa, ma facendola pagare ai cittadini, incentivando l’azzardo che danneggia sia i cittadini stessi, salute e portafoglio, che lo Stato costretto poi a curare i giocatori patologici. (dal quotidiano “Avvenire” – Antonio Maria Mira)
Quando un soggetto è disperato per la sua penosa situazione economica dovuta ad errori (spese sbagliate) e omissioni (scarso impegno), si è soliti ricorrere alla vendita dei pezzi più pregiati del patrimonio (l’argenteria), dopo di che non rimane che ironizzare e consigliare: prova a giocare al lotto, chissà…
Oggi si parla sempre più diffusamente di privatizzare aziende statali in ossequio al dogma liberista secondo cui una minore presenza nello Stato nell’economia incentiverebbe la competitività. In realtà le economie miste dei Paesi occidentali prevedono molte aziende a partecipazione statale, per dirigere le quali è necessario un Piano economico nazionale che ne orienti l’operato verso il bene della collettività. Proprio quello che attualmente non accade in Italia. (MicroMega – Davide Passamonti)
Per i governi italiani, dopo aver venduto un po’ di aziende, non rimane che giocare al lotto di sponda: è un modo come un altro per non affrontare la piaga dell’evasione fiscale. La manovra economica 2024 sul fronte delle uscite prevede infatti di buttare dalla finestra le poche risorse disponibili finalizzandole a marchette propagandistiche e dal punto di vista delle entrate fa ricorso all’alienazione dell’argenteria di Stato e al “pizzo di Stato” sul gioco d’azzardo.
Si dirà, peggio per coloro che tentano scriteriatamente la fortuna. Dico io, peggio per chi lavora onestamente e paga regolarmente le tasse, che si vede preso in giro. A meno che, il governo non abbia fatto un paradossale ragionamento: chi evade le imposte avrà risorse in abbondanza per tentare la ulteriore fortuna, quindi freghiamolo e togliamogli la terra da sotto i piedi. Senonché chi gioca d’azzardo è generalmente un poveraccio che non sa dove sbattere la testa e allora il ragionamento crolla miseramente: al danno dei regali agli evasori si aggiunge la beffa dell’assistenza ai giocatori patologici.
Ritengo la riforma fiscale la madre di tutte le riforme, perché, se non si redistribuisce equamente il reddito (e la fiscalità ne è il principale, democratico e costituzionale strumento), non si potrà mai combinare niente di buono. Se non si parte col piede giusto, non si andrà da nessuna parte. È un argomento ostico, ma imprescindibile, che viene considerato impopolare, ma che invece dovrebbe essere il più popolare di tutti.
Probabilmente la lotta all’evasione fiscale viene data per persa e allora tanto vale cercare di darle un minimo di legittimazione (condoni), un po’ di onesta incentivazione (regimi forfettari e flat tax più o meno evidente) e fingere l’intransigenza (con impietose scorribande sui malcapitati di turno).
La mala-fiscalità è servita alla faccia della Carta Costituzionale: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
L’attuale governo di destra, socialmente parlando, sta, come dice Pier Luigi Bersani, tagliando il Paese a fette, “corporativizzando” il fisco (un fisco per ogni categoria sociale, morbido con quelle elettoralmente vicine, duro con quelle lontane) e, di conseguenza, puntando all’erogazione di servizi diversificati per fascia di contribuenti e ad una sanità in particolare altrettanto stratificata (privata di serie A per i ricchi, pubblica di serie B per i poveri), complice l’autonomia differenziata regionale. Se questo non è fascismo…
Qualcuno fa dell’ironia sul “come sia bello pagare le tasse”. Mio padre non era un economista, non era un sociologo, non era un uomo erudito e colto. Politicamente parlando aderiva al partito del buon senso, rifuggiva da ogni e qualsiasi faziosità, amava ragionare con la propria testa, sapeva ascoltare ma non rinunciava alle proprie profonde convinzioni mentre rispettava quelle altrui. Volete una estrema sintesi di tutto cio? Eccola! Rifletteva ad alta voce di fronte alle furbizie varie contro le casse pubbliche: «Se tutti i paghison il tasi, as podriss där d’al polastor aj gat…».