Non è mia abitudine prendermela con chi è in difficoltà di vario genere, preferisco rispettarlo silenziosamente senza infierire o speculare. A meno che la persona in questione non voglia fare dei suoi problemi una spettacolarizzazione per tentare disperatamente di uscirne a testa alta.
Il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi si è dimesso. La sua situazione era da tempo insostenibile: conflitti di interesse, inchiesta per un quadro rubato, attività extra sotto la lente del garante dopo le segnalazioni arrivate dal ministero, esternazioni varie.
Il suo caso è la dimostrazione vivente che per ricoprire incarichi pubblici non basta avere competenze professionali, ma occorre inserire queste qualità in un contesto di corretto e costruttivo servizio alla comunità: disciplina ed onore fissate dalla Costituzione. Nel caso di Sgarbi la preparazione artistico-culturale diventa addirittura una sorta di complesso di superiorità che autorizza a trasformare il governo della cosa pubblica in una teatrale rappresentazione. Sarà l’ultimo atto quello inscenato con le dimissioni provocatoriamente sbandierate e condite da sgangherati attacchi a destra e manca?
Vittorio Sgarbi ha ricoperto diversi incarichi pubblici ed è stato sempre fedele a questo penoso cliché della trasgressione a tutti i costi, buttata in faccia ai cittadini, utilizzando il clamore mediatico suscitato dalle sue reiterate ed estemporanee uscite.
Non mi dispiace affatto l’andare controcorrente, ma, quando diventa un pregiudiziale atteggiamento fine a se stesso, non ha senso e porta inevitabilmente a situazioni stucchevoli e dannose per tutti. Anche perché costringe ad un rialzo progressivo dei toni, che da provocatori si fanno incivili e di pessimo gusto. Se una persona vuole fare il battitore libero deve rimanere nell’anonimato o comunque a distanza dalla politica e dalla pubblica amministrazione.
Il caso Sgarbi viene quindi prima delle incompatibilità legali e delle eventuali scorrettezze conseguenti: riguarda un modo di essere privato che si scontra inevitabilmente con l’interesse pubblico. L’errore lo ha fatto chi, conoscendolo bene, ha avuto l’idea di inserirlo in squadra. Non poteva, prima o dopo, che finire così: una delle tante scelte sbagliate di Giorgia Meloni a livello di compagine governativa, non certo la più grave e pericolosa, ma forse la più estemporanea ed imbarazzante.
Fatta la frittata, mentre Giorgia Meloni ha cercato di abbozzare, il ministro Sangiuliano l’ha presa un po’ di petto ed è finito nel tritacarne sgarbiano (conquistandosi la definizione di “uomo senza dignità”), finendo, nella commedia, per fare la parte della maschera che prende le botte in testa.
La commedia non è finita, perché Sgarbi la proseguirà: probabilmente si è dimesso proprio per potere recitare più liberamente da maleducato che diventa simpatico in quanto fa peraltro finta di essere originale. Ben diverse e più gravi sono le serpi in seno al governo Meloni (Santa de chè in primis…). Una alla volta dovranno pur essere affrontate, ma ho la netta impressione che non avranno comunque alcun significativo contraccolpo politico ed elettorale, se non quello di aumentare l’astensionismo.