Ho lavorato per molti anni a servizio delle cooperative agricole e quindi credo di essere in grado di esprimere un parere a ragion veduta sulla dilagante protesta degli agricoltori in diversi Paesi europei Italia compresa.
Il grave disagio imprenditoriale consiste sostanzialmente nel fatto che gli agricoltori subiscono per i loro prodotti prezzi di mercato poco remunerativi, a volte addirittura insufficienti a coprire le spese di produzione: da una parte prezzi di acquisto crescenti per l’approvvigionamento dei fattori produttivi, dall’altra parte bassi prezzi di vendita dei loro prodotti. Se si scompongono i prezzi al consumo dei generi alimentari si scopre che la minima parte va a remunerare la produzione agricola mentre la parte di gran lunga prevalente va al commercio e alla distribuzione. Il consumatore paga caro e l’agricoltore incassa poco.
La protesta quindi è obiettivamente più che giustificata, ma trova ostacoli insormontabili in un’economia sostanzialmente liberista o per meglio dire oligopolista, “finanziarizzata” e speculativa. Paradossalmente il mercato non lo fa chi produce, ma chi si pone in posizione intermedia, vale a dire industria di trasformazione, mediatori, grosso commercio, grande distribuzione etc. etc.
L’agricoltura non è riuscita, se non in casi particolari, ad avere potere sul mercato, non è stata in grado cioè di associarsi in strutture di primo, secondo e terzo grado in modo da fronteggiare l’aggressione degli altri operatori economici. Questa è la situazione!
Gli agricoltori devono quindi fare mea culpa per non aver avuto e non avere il coraggio di spingere la loro attività oltre la mera produzione di base: manca spinta imprenditoriale, mancano strumenti finanziari, manca professionalità, manca l’appoggio delle loro organizzazioni professionali, manca la mentalità per affrontare un sistema economico che brutalmente cannibalizza produttori e consumatori a vantaggio di chi sta nel mezzo.
È normale che, allorquando la situazione si inasprisca per vari motivi, esploda la protesta che si indirizza verso i pubblici poteri e verso le politiche comunitarie che, pur stanziando fondi ragguardevoli e puntando alla razionalizzazione delle produzioni, non riescono a spostare il reddito verso chi produce. Il dirigismo europeo non riesce a sbloccare il perverso meccanismo della formazione dei prezzi di mercato.
Quanto al discorso fiscale gli agricoltori devono riconoscere di essere stati fortemente agevolati a livello di imposizione diretta e indiretta e di essersi abituati “male”: questa è stata nel tempo la vittoria di Pirro perché, essendo tassati sulla base di redditi catastali indipendenti dall’andamento economico delle loro imprese, hanno finito per non fare i conti e procedere al buio a prescindere quindi dall’entità dei costi e dei ricavi. Certo non è il momento per inasprire la tassazione del settore agricolo, ma non credo che sia questo il male peggiore.
Gli agricoltori si meritano tutta la solidarietà dovuta a chi lavora e non riesce a quadrare i conti della propria impresa. Purtroppo le proteste hanno l’intenzione di responsabilizzare i consumatori, che peraltro si comportano quasi sempre in modo dissennato, andando dietro a pubblicità ingannevoli, adottando spannometrici calcoli di convenienza, finendo nella rete dove la qualità non conta e vale soltanto chi sa vendere bene la propria merce.
I governi vorrebbero intervenire, ma si limitano a fare della retorica, a varare qualche programma di sviluppo, a sposare la causa con dichiarazioni di principio, a stanziare fondi che spesso assumono il ruolo di pannicelli caldo, perché non possono andare contro il muro di un sistema impenetrabile. Gli agricoltori sono destinati a rinchiudersi nelle loro nicchie produttive più o meno biologiche, a spostare il loro bacino di attività verso la difesa ambientale, a creare, faticosamente e in enorme ritardo, strutture produttive di livello più elevato in cerca di potere sul mercato.
L’unico strumento per rafforzare il settore e riequilibrare i rapporti di potere sul mercato è la cooperazione, che mantiene intatta la sua funzione socio-economica: al di là di essa non vedo niente di decisivo per l’agricoltura. La cooperazione di consumo ha però sostanzialmente fallito la sua mission, accodandosi ai normali meccanismi distributivi e speculativi: non c’è differenza sostanziale tra Conad, Coop, Sigma e le catene distributive private quali Esselunga e c. La cooperazione a livello produttivo non è sufficientemente presente nelle fasi di trasformazione e commercializzazione. I governi tentano disperatamente di regolare l’offerta anche se il mercato è fatto dalla domanda.
Protestare fa bene come richiamo e critica verso tutti i soggetti interessati. Purtroppo nel caso degli agricoltori la protesta si avvita su se stessa, ottiene magari qualche promessa da marinaio e rischia sostanzialmente di ritorcersi contro i veri interessi di chi la inscena per tornare al mittente come amara e pesante autocritica. Non mancava altro che il festival di Sanremo per dare un cioccolatino mediatico a chi ha la bocca impastata e lo stomaco inverso.