Nuovo attacco del sindaco di Ferrara Alan Fabbri all’arcivescovo Giancarlo Perego. Anche stavolta, come tre anni fa, il primo cittadino leghista offende con tono sprezzante il pastore della Chiesa di Ferrara-Comacchio sui criteri di assegnazione delle case popolari, invitandolo a prenderseli in Curia con la solita demagogia. Da Fabbri sono arrivate parole offensive sui social condite da ironie pesanti. «L’arcivescovo dovrebbe iniziare a riempire di migranti il suo Palazzo e lasciare le case popolari ai ferraresi. La sua reggia non solo è molto grande, ma mi sembra anche piuttosto vuota. È facile fare i caritatevoli con i soldi e i beni degli altri, molto meno unire con coerenza parole e fatti. Ma ormai dal vescovo di Ferrara ci si può aspettare di tutto: che non sia lui il prossimo candidato del Pd ferrarese?». Detto che la “reggia” di Perego è vuota perché terremotata e in restauro da anni, cosa ha scatenato l’ira di Fabbri? L’apprezzamento dell’arcivescovo al provvedimento della Regione Emilia-Romagna, che ha uniformato i criteri per l’assegnazione delle case popolari. In particolare la residenzialità storica, introdotta a Ferrara dal leghista, è diventato un requisito per tutti, ma non dà più punteggio. E agli occhi di Fabbri, che pensa di poter stabilire i limiti del magistero vescovile, Perego ha la colpa di essere andato oltre i suoi compiti, esprimendosi a favore del provvedimento regionale che modifica i criteri di assegnazione delle case popolari e che andrà al voto in consiglio. (dal quotidiano “Avvenire”)
Potremmo sintetizzare così questa moderna versione della diatriba fra don Camillo e Peppone di “guareschiana” memoria: il vescovo dà lezione etico-politica al sindaco; il sindaco fa la morale evangelica al vescovo. Che dire? In un certo senso, hanno ragione entrambi!
Il vescovo difende i deboli, in questo caso gli immigrati che alla loro sofferta precarietà di vita aggiungono discriminazioni subite in nome di una sorta di trumpiana opzione nazionalistica. “Da oggi in poi, prima l’America”: questa la promessa di Donald Trump durante il suo discorso di insediamento. “Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione o sulla politica estera sarà presa a beneficio dei lavoratori e delle famiglie americane e contro gli scempi delle altre nazioni nei confronti dei nostri prodotti, contro chi ruba alle nostre aziende e chi distrugge i nostri posti di lavoro”. Non è un caso che questo signore ritenti con molte probabilità di successo la scalata alla Casa Bianca e che alla prima significativa affermazione alle elezioni primarie abbia avuto i complimenti del leader leghista Matteo Salvini. Il sindaco di Ferrara è di quella pasta politica…
Il sindaco ritorce la questione addosso al vescovo reo di non ospitare gli immigrati nei sacri palazzi diocesani, ma intendendo con la sua scomposta invettiva respingere al mittente il buonismo di maniera di chi parla di carità cristiana senza praticarla veramente. Ci può stare!
Due reciproche invasioni di campo? No, due richiami plausibili, che si incrociano e dovrebbero fare riflettere la politica e la cristianità.
C’era una volta un sindaco che osava mettere d’accordo politica e religione: requisiva le seconde case per darle ai senza casa, scandalizzando la Chiesa e la politica, ma donava il suo stipendio ai poveri accontentandosi di vivere francescanamente in un convento, togliendo ogni argomento polemico ai suoi contestatori di destra e sinistra. Era un demagogo? No, perché si metteva personalmente in discussione. Era un eretico? No, perché osservava alla lettera il Vangelo. Era un pazzo? Sì, perché i santi sono pazzi! Era un politico fantasioso? Sì, perché la politica, per essere veramente tale, ha bisogno di tanta coraggiosa fantasia.
Si tratta di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze nel secolo scorso. Consiglio al sindaco e al vescovo di Ferrara di andare mano nella mano in pellegrinaggio sulla tomba di questo santo, che ha molto da insegnare ai politici e ai cristiani. Ai politici, che brandiscono i rosari durante i loro comizi elettorali per poi schierarsi in difesa dei diritti dei ricchi, e ai cristiani, che se ne stanno, come me, nascosti nelle loro comode abitazioni mentre c’è gente che dorme sotto i ponti. A tutti coloro cioè che in politica predicano male e razzolano ancor peggio nonché a chi in campo religioso predica bene e razzola, se non proprio male, così-così.