“Il passato non si può ripetere, è stata una stagione che ha avuto le sue grandezze ma anche i suoi limiti, ma che è finita. Certo, al di là della formula, l’importante è che ci siano i valori dei cattolici, i valori umanistici che possano trovare spazio nella politica di oggi, e anche realizzazione, e dunque essere tradotti anche nella realtà”. Lo ha affermato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano parlando della fine della Democrazia Cristiana. “I rapporti con la politica italiana – ha aggiunto il cardinale Parolin – sono di competenza della Cei. Ma credo che nella particolare situazione in cui viviamo non possiamo esimerci dal rapporto tra politica e Santa Sede, l’importante è che ci sia un coordinamento e una collaborazione tra Santa Sede e Cei in modo da portare avanti gli stessi elementi”. (Askanews 17-01-2024)
Devo ammettere che queste fredde, scarne e sbrigative parole mi hanno un po’ irritato: non si può liquidare in modo così frettoloso un lungo periodo storico, mi riferisco appunto all’epoca caratterizzata dalla presenza della Democrazia Cristiana e a quel che ne è conseguito. Voglio solo far presente come la DC sia riuscita a coniugare la laicità della politica con l’ispirazione cristiana, non cadendo mai nel mero collateralismo e salvaguardando il riferimento ai valori cristiani. Se è vero che il passato non si può ripetere, è altrettanto vero che il sentimento della storia (come ci insegna Antonio Scurati) ci obbliga a rivisitarlo criticamente per trovare in esso insegnamenti molto preziosi.
I rapporti con la politica italiana non sono di competenza della Cei in coordinamento col Vaticano: c’è in questa affermazione una evidente contraddizione, che riporta dritti dritti al discutibilissimo passato remoto (Luigi Gedda) e prossimo (Camillo Ruini). La politica italiana è innanzitutto e soprattutto materia per i cattolici di base, per i loro movimenti e le loro associazioni, non una questione da riservare ai rapporti tra gerarchia e partiti, tra potere clericale e potere politico.
Non voglio essere irriverente, ma l’analisi paroliniana mi sembra assai più andreottiana che degasperiana e ancor prima sturziana. Sono rimasto stupito dal pressapochismo del segretario di Stato Vaticano, al quale consiglierei di andare a scuola da papa Montini per capire la politica italiana e favorirne un’evoluzione squisitamente popolare e democratica.
Per fortuna negli stessi giorni in cui Parolin mi raggelava, Pier Luigi Castagnetti, l’ultimo segretario del Ppi (dal 1999 al marzo 2002), oggi presidente dell’associazione “I Popolari”, mi riscaldava con la sua rivisitazione del popolarismo nei suoi passaggi storici per arrivare ai giorni nostri, vale a dire a suonare la sveglia al Partito Democratico.
Mi limito a osservare ad esempio che se, di fronte ai focolai di guerra in corso, che stanno allargandosi spaventosamente, producendo migliaia e migliaia di morti incolpevoli, e lo sconvolgimento degli equilibri del mondo, anche i politici cattolici lasciano solo il Papa a testimoniare una posizione di assoluto realismo e buon senso, perché preferiscono discutere della partita delle capoliste alle elezioni europee, sarà difficile che essi possano migliorare il loro appeal elettorale. (Forse dovremmo tutti rileggere il capitolo 75 della “Gaudium et Spes” e il cap. VIII della “Lumen Gentium”. E anche il cap. XIII (“La eliminabilità della guerra”) del libro che Sturzo scrisse in inglese nel 1929, “La comunità internazionale e il diritto di guerra)”. (dal quotidiano “Avvenire” del 18 gennaio 2024)
Colpito e affondato un certo generico e superficiale modo di intendere il PD. La storia e la cultura ci portano su altri lidi a livello di metodo e di contenuto. Sì, perché, come scrive molto efficacemente Castagnetti, ripercorrendo la storia dei popolari e dei democratici cristiani, la diversità fondamentale fra quei tempi (1919 e 1994) e l’attuale a me pare si possa cristallizzare in una osservazione: allora i partiti venivano fatti dalla storia (Bodrato), oggi invece vengono fatti dalle mode e dai sistemi elettorali, entrambi, per ragioni diverse, imprescindibili. Ragionare e comportarsi come se non esistessero in particolare le gabbie di leggi elettorali, criticate a parole ma ampiamente condivise nei fatti dalle segreterie di tutti i partiti, significa mortificare ogni pur legittima iniziativa. A questi due condizionamenti si dovrà aggiungere quello della conoscenza della realtà.
Oggi la realtà significa innanzitutto “guerra” e chi vuole dare un senso alla politica non può prescindere “dalla guerra alla guerra”. La madre di tutti i problemi è la pace, così come quella di tutte le riforme è l’equità fiscale. Si provi a ripartire di lì per presentarsi alle urne con dei valori da proporre (Costituzione alla mano), e non con delle persone da sbandierare (sfide mediatiche fra i piedi).