“Questa guerra ha scatenato uno tsunami di antisemitismo. Ma cosa c’entro io con quello che sta facendo Benjamin Netanyahu a Gaza? Cosa c’entra un ebreo italiano?”. A usare queste parole, nel giorno della Memoria, è Edith Bruck che nella primavera del 1944, a tredici anni, venne presa dal ghetto di Sátoraljaújhely (in Ungheria) e deportata ad Auschwitz e poi in altri campi tedeschi. Parlare con la scrittrice, regista e poetessa, sopravvissuta alla più grande tragedia del Novecento significa ripercorrere la Storia e provare a coniugarla nel presente e nel futuro. (da “Il Fatto quotidiano”)
Premesso che Edith Bruck ha tutta la mia incondizionata stima ed ammirazione, dopo aver consigliato a tutti di leggere interamente l’intervista di cui ho riportato l’incipit, mi permetto di entrare nel merito del suo comprensibile sfogo: apprezzo la netta presa di distanza dal governo israeliano, ma non posso accettare una sbrigativa dichiarazione di estraneità verso la Stato di Israele ed il suo comportamento. Chi meglio di Edith Bruck può e deve entrare nel merito del cortocircuito bellico che si è venuto a creare e che rischia di mettere a repentaglio i rapporti tra Israele e i palestinesi, di sprofondare il Medio Oriente in una catastrofe umanitaria, di provocare conseguenze gravissime in tutto il mondo, di infilare Israele e la Palestina in un tunnel senza vie d’uscita.
Sarebbe opportuno che Edith Bruck, dall’alto della sua levatura morale e della sua drammatica esperienza umana, desse un segno esplicito, motivato ed inequivocabile di condanna verso l’approccio aggressivo di Israele ai rapporti con i palestinesi.
Dica chiaramente se è d’accordo sul diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato sovrano, se sente aria di genocidio verso questo martoriato popolo. Cosa c’entra un bambino palestinese con quello che sta facendo Hamas contro Israele? Lo tsunami di antisemitismo non dipende forse anche dall’equivoco atteggiamento storico dello Stato di Israele nei rapporti col mondo arabo?
Capisco il dramma interiore di chi, dopo aver sofferto sulla propria pelle lo sterminio nazifascista, si vede tirato in ballo da una guerra che sembra riprendere tutto daccapo. Israele si sta accollando enormi responsabilità e chi meglio di Edith Bruck può farglielo presente.
Ho l’impressione che si stia scherzando con la storia: il fascismo non esiste più se non nelle menti malate di quattro scagnozzi; il razzismo è un divertimento innocuo per giovani scemi; il terrorismo è una piaga inevitabile; la guerra è l’unico modo per difendere la democrazia; la pace è un’utopia; le armi servono a garantire l’ordine internazionale; l’Onu è un ferro vecchio da rottamare; la Ue è una congrega di tecnocrati che giocano a fare politica; la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha tempo da perdere; e via di questo passo.
Chi porta impresse nel proprio corpo e nella propria anima le stimmate dell’ingiustizia e dell’odio ha il diritto-dovere di reagire non chiamandosi fuori, ma buttandosi dentro nella mischia, non solo a livello culturale ma anche nel senso della testimonianza politica.
I giovani aspettano una lezione credibile dal passato (Edith Bruck la sta impartendo alla grande), ma hanno bisogno anche di indicazioni precise per interpretare il presente e di vie pacifiche per costruire il futuro (Edith Bruch si sforzi di fornirle ancor di più rispetto a quello che già meritoriamente ed eroicamente fa).