L’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, nel quale sono state uccise più di 1.100 persone in territorio israeliano, “è stata una rappresaglia per l’uccisione nel gennaio del 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani, a capo della Brigata Qods degli stessi Pasdaran”. Lo ha detto Ramadan Sharif, portavoce dei guardiani della rivoluzione iraniana (Pasdaran), secondo quanto riportano media che citano l’agenzia di notizie iraniana Mehr. Soleimani, a lungo l’architetto della strategia militare iraniana nella regione, era stato ucciso quattro anni fa nell’aeroporto di Baghdad in Iraq da un drone militare statunitense.
Sharif ha detto ancora che Teheran “risponderà” dopo che lunedì è stato ucciso in Siria un comandante dei guardiani della rivoluzione. “Queste vendette continueranno in luoghi e momenti diversi”, ha proseguito.
Hamas è però intervenuta per smentire l’affermazione dei pasdaran iraniani. “Neghiamo – si legge in comunicato citato dai media – quando riferito riguardo l’operazione e i suoi motivi. Abbiamo sottolineato più volte i motivi, il principale dei quali la principale è stata la minaccia alla moschea di al-Aqsa (Spianata delle Moschee, ndr). Ogni risposta della resistenza palestinese è una reazione all’occupazione e all’aggressione al popolo palestinese e ai luoghi santi”.
Ieri In un intervento alla Commissione parlamentare per la sicurezza e la difesa, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva detto che Israele è attaccato su sette fronti, e che su sei di essi ha già reagito. “Siamo stati attaccati – ha rilevato – da Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq, Yemen ed Iran”. “Abbiamo reagito ed operato contro sei di quei fronti”, ha aggiunto, senza tuttavia menzionare quali di essi fosse il settimo, per alcuni alludendo proprio a Teheran. “Voglio dirlo in maniera esplicita: chiunque opera contro di noi rappresenta un obiettivo potenziale. Non c’è immunità per alcuno”. (dal quotidiano “Avvenire”)
Quando si dice “come (non) cambia il mondo… Un tempo si facevano i salti mortali dell’ipocrisia per addossare al nemico la colpa dell’inizio delle guerre, oggi ci si accapiglia per aggiudicarsi il “merito” di averle scatenate.
Evidentemente la guerra ce l’abbiamo nel sangue! Proprio oggi la Chiesa cattolica celebra liturgicamente i Santi Innocenti, la schiera degli innocenti inaugurata dalla brutalità di Erode. La storia è piena di personaggi in stile erodiano e di vittime della violenza in stile realpolitik. Davanti al sangue innocente ci meravigliamo. Di cosa? Siamo tutti più o meno colpevoli, non facciamo finta di essere buoni. Abbiamo almeno il coraggio di ammettere il disastro che stiamo combinando.
Non voglio però insistere in questa sede su riflessioni di carattere etico-religioso, ma intendo farmi una domanda a livello di politica internazionale: possibile che tutti assistano, più o meno imbarazzati, a questo gioco al massacro non solo e non tanto giustificato da contese territoriali, ma addirittura rivendicato come modo per equilibrare un disordine accettato come connaturale ai rapporti fra i popoli?
L’Iran vuole fare la parte del leone, Hamas ostenta la parte della tigre, Israele punta ad essere comunque il re della foresta bellica. Non voglio guardare alle cosiddette grandi potenze a cui forse giova questo clima di coesistenza bellicista. Resto in Italia. Possibile che nessuno azzardi un serio ragionamento di pace al di là delle schematiche e superficiali partigianerie? Possibile che non si possa essere che filo-israeliani e filo-ucraini a prescindere? Possibile che la politica internazionale venga ridotta a becero tifo da stadio?
Il poeta Andrea Chénier, nell’omonima opera di Umberto Giordano, ambientata ai tempi della rivoluzione francese, di fronte al lusso sfrenato e provocante di una festa in casa di una nobile famiglia, dopo aver subito le risate di scherno delle vacue ed eleganti giovani nobildonne, improvvisa un canto all’amore difendendo i suoi ideali contro i costumi corrotti dell’epoca. Rivolgendosi alla contessina Maddalena dice: «In cotanta miseria…sol l’occhio vostro esprime umanamente qui un guardo di pietà, ond’io guardato ho a voi si come a un angelo. E dissi: ecco la bellezza della vita».
Oggi un eventuale Andrea Chénier in versione pacifista si dovrebbe rivolgere a papa Francesco: troppo poco? No, umanamente è tutto! Politicamente parlando, nel nostro piccolo Paese non resta che guardare a Sergio Mattarella e al suo prossimo discorso di fine anno (mentre tutti aspettano la conferenza stampa di Giorgia Meloni). Saprà il nostro capo dello Stato esprimere un guardo di pietà e dimostrare che la politica, nonostante tutto, può ancora fare qualcosa di buono in favore della pace? Sarà una voce che grida nel deserto? Può darsi: ricordiamoci però che serve gridare come fece il doge Simone Boccanegra nell’opera verdiana: “E vo gridando pace! E vo gridando: amor! “, riecheggiando lo storico accorato appello del poeta Francesco Petrarca.
Se la politica andasse a prestito dall’arte potrebbe trovare qualche interessante spunto. Non si dice forse che la politica è un’arte? Sì, l’arte della pace e non il mestiere della guerra!