Hamas ha diffuso un nuovo video dalla Striscia di Gaza in cui compaiono tre delle centinaia di cittadini israeliani rapiti dopo l’attacco del 7 ottobre. Si tratta di tre donne, che nel filmato rivolgono un appello direttamente al premier israeliano Benjamin Netanyahu e di fatto lo attaccano frontalmente. «Ti sei impegnato a liberare tutti, invece noi paghiamo il fallimento politico, di sicurezza, militare e dello stato per il tuo disastro del 7 ottobre», inveisce la donna al centro che parla, si suppone a nome anche delle altre due, nel filmato diffuso da Hamas. La donna, di cui non si conoscono al momento le generalità, è furente per l’abbandono da parte del governo, sia il giorno della strage che dopo. «Non c’era l’esercito, non c’era nessuno e nessuno ci ha protetto il 7 ottobre, non c’è l’esercito e noi cittadini che paghiamo le tasse ci troviamo prigionieri in condizioni impossibili». Non è dato sapere quanta della rabbia che cova l’ostaggio sia genuina, e quanta “suggerita”, con le buone o con le cattive, dai suoi carcerieri da oltre tre settimane. Ma è certo che il tono del discorso, pronunciato in ebraico, è durissimo. «Ieri c’è stata una conferenza stampa e doveva esserci un cessate il fuoco. Ma non è stato così, noi siamo ancora qui sotto le bombe», afferma la donna, mentre le altre due al suo fianco annuiscono in silenzio. E ancora, rivolta sempre a Netanyahu: «Tu ci uccidi, tu vuoi ucciderci tutti, non ci hai abbastanza massacrato? Non sono morti abbastanza cittadini israeliani? Liberaci adesso, libera i loro cittadini, libera i loro detenuti!», esclama la sequestrata, riecheggiando l’esplicita richiesta fatta nei giorni scorsi da Hamas per liberare gli ostaggi, condivisa per tragico paradosso dalle famiglie israeliane degli ostaggi. «Liberaci tutti, facci tornare dalle nostre famiglie adesso, adesso, adesso!», conclude urlando la donna. (da Open online)
Naturalmente Netanyahu si è precipitato a considerare psicologicamente inattendibile il disperato appello delle tre donne-ostaggio nelle mani di Hamas. Torna la triste diatriba scatenatasi ai tempi della prigionia di Aldo Moro: non era lui che scriveva le lettere dal carcere o, come ho sempre pensato, era lui con la lucidità indotta dalla disperazione.
Qualcuno tirerà in ballo la “sindrome di Stoccolma”, vale a dire il particolare stato psicologico che può interessare le vittime di un sequestro o di un abuso ripetuto, i quali, in maniera apparentemente paradossale, cominciano a nutrire sentimenti positivi verso il proprio aguzzino che possono andare dalla solidarietà all’innamoramento.
Mi sento invece di tirare in ballo la persuasione che, di fronte alla morte, cambino i criteri di giudizio o meglio saltino i pregiudizi e la verità compaia nel suo scomodo e rivoluzionario aspetto. Quando non c’è più nulla da perdere, quando i freni inibitori vengono meno, cadono le barriere dagli occhi e si vede quanto prima era nascosto dagli schemi e dalle convenzioni di ogni e qualsiasi tipo.
Cosa gridano le tre donne? Il fallimento politico, militare e di sicurezza dello Stato di Israele viene sbattuto in faccia al premier israeliano così come la sua totale incapacità di aprire una qualsiasi fase di alleggerimento della tensione. Come ha recentemente sostenuto Massimo Cacciari si è aperta una guerra senza senso da entrambe le parti: l’unico sbocco per gli uni e per gli altri è la distruzione dei palestinesi per poi aprire una fase interminabile di conflitto gradualmente estendibile a tutto il mondo.
“C’è un principio della filosofia politica, che dice che le guerre vanno condotte sulla base di una rectia intentio, cioè anche durante la guerra i belligeranti devono avere l’intenzione di giungere ad un patto, se manca questa intenzione la guerra diventa una guerra assoluta. Se gli Stati Uniti d’America hanno l’intenzione e la forza di condurre i contendenti verso un’intesa, ce la possiamo fare, se gli manca, correrà un oceano di sangue”, così commenta, a “otto e mezzo” su La 7, l’impasse israelo-palestinese l’autorevole filosofo, prestato fin troppo alla politica.
Cacciari ci arriva col ragionamento, gli ostaggi ci arrivano con la disperazione. Hamas ci rinuncia in partenza per delirio terroristico, Israele, meglio sarebbe dire Netanyahu e chi direttamente o indirettamente l’ha sostenuto e lo sostiene, ci rinuncia per delirio di onnipotenza.
Le tre donne-ostaggio all’attacco, sulla scena di guerra, sono paradossalmente i soggetti più lucidi e ragionevoli: chiedono un gesto di buona volontà, la liberazione dei detenuti palestinesi e quella degli ostaggi israeliani, l’unico che può ricondurre non tanto alla pace, forse nemmeno ad un cessate il fuoco, ma alla ricerca di un minimo di rectia intentio, ammesso e non concesso che possa esserci corretta intenzione in una qualsiasi guerra.