«L’educazione sessuale e affettiva dei ragazzi è fondamentale, perché oggi l’apprendimento avviene tramite la pornografia, mentre invece sarebbe opportuno imparare il rispetto dell’altro sin dalla scuola elementare, anzi ancora prima, dalla materna». Ne è convinto Mario Puiatti, presidente dell’Aied, l’Associazione italiana per l’educazione demografica che ha lanciato la sua nuova proposta politica.
«Vorremmo che l’educazione affettiva e sessuale diventasse un diritto delle ragazze e dei ragazzi italiani. Raccomandato dall’Oms e previsto nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, in Italia questo diritto è tuttora carta morta. Dopo 16 proposte di legge arenatesi in Parlamento, il nostro Paese è l’unico inadempiente in Europa insieme a Cipro, Bulgaria, Polonia, Romania e Lituania.
I ragazzi di oggi si rapportano alle relazioni sessuali ed affettive In modo pessimo. Innanzitutto ne sanno molto meno dei loro genitori e dei loro nonni: gli adolescenti disertano i consultori e si nutrono della pornografia diffusa da Internet. La scuola dovrebbe avere il tema dell’educazione sessuale ed affettiva come materia prevista dal programma scolastico nazionale del ministero dell’Istruzione. Magari potrebbe anche essere una materia facoltativa, ma dovrebbe essere inserita nell’orario scolastico.
La violenza di genere, il dilagare del femminicidio è figlio di una cultura che non è incentrata sul rispetto degli altri. Dobbiamo arginare questa deriva cultuale. Ma non vedo attenzione alle nostre battaglie. (Sono alcuni passaggi di un’intervista pubblicata dal quotidiano “La Stampa”)
La proposta di Mario Puiatti ha assunto purtroppo un significato profetico in quanto, pochi giorni dopo, la fuga dei fidanzati, che aveva suscitato ansia a livello mediatico, ha trovato un tragico epilogo nella morte della ragazza avvenuta con ogni probabilità ad opera del fidanzato: l’ennesimo caso di femminicidio con modalità e motivi ancora da chiarire.
Dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha lanciato un appello a Giorgia Meloni. “Almeno sul contrasto a questa mattanza di donne e di ragazze, lasciamo da parte lo scontro politico e proviamo a far fare un passo avanti al Paese”, ha detto, sottolineando che “non basta la repressione se non si fa prevenzione. Approviamo subito in Parlamento una legge che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole d’Italia”.
Se si fosse finalmente sgelata l’attenzione della politica riguardo a questo inquietante fenomeno sarebbe già qualcosa di importante. Tuttavia credo che ci vorrà ben altro rispetto alla pur lodevole introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole. Il benaltrismo è un male paralizzante, ma purtroppo penso che il femminicidio sia sintomo e sintesi di un male generale e profondo della nostra società, fondata sui disvalori.
Il sesso viene ridotto a merce di consumo, il corpo della donna a strumento di piacere, le relazioni sentimentali a gioco delle parti, la procreazione a fenomeno da baraccone, i rapporti umani a conflitti di potere, l’educazione a optional rimpallato fra traballanti famiglie e burocratiche scuole, e via di questo passo.
La mina non è esplosa fintantoché la subordinata condizione femminile assorbiva queste contraddizioni relegandole nei diversi retrobottega. Quando si è rotto l’equilibrio basato sulla inaccettabile condizione femminile, tutto è venuto a galla. Lo stesso comportamento della donna emancipata (?) non è in grado di prevenire o almeno arginare il fenomeno, imprigionando la donna stessa in una sorta di paradossale sindrome di Stoccolma a livello sessuale.
Uscirne non sarà facile. È inutile piangere sul latte versato. Ricordando, amaramente e provocatoriamente, un famoso proverbio: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, mio padre, tra il serio ed il faceto, diceva invece: “Chi è causa del suo mal pianga me stesso”. Ed infatti c’è molto di cui piangere sugli altri, sulla società, sulla crisi dei vari sistemi educativi, sulla immancabile crisi della politica, ma anche su tutti noi stessi! Tutti portiamo un pezzo rilevante di responsabilità. Non illudiamoci di reprimere finendo col mettere la sporcizia sotto il tappeto. Non pensiamo di lavarci la coscienza con le solite folcloristiche manifestazioni. Non facciamone un punto di scontro sociale e ancor meno politico. Non facciamo rientrare la soluzione del caso in una edizione riveduta e scorretta del “Dio, Patria e Famiglia”.
E allora? Non lo so. In questa società che uccide le donne, che giustifica le guerre, che rifiuta i disgraziati, che respinge i disperati, mi sento a disagio. Sento e faccio mio il grido dello scrittore russo F. M. Dostoevskij: «No, non voglio partecipare ad un mondo che si costruisce su tanti cadaveri e su tante sofferenze. Restituisco il mio biglietto d’ingresso. Il prezzo è troppo alto!».
Anche perché ne sarò chiamato a rispondere da chi la sa molto più lunga dei politici, dei sociologi, degli psicologi, dei filosofi, degli antropologi. Non ci girerà intorno, come facciamo noi, e mi dirà: “Ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare; ho avuto sete e non mi hai dato da bere; ero forestiero e non mi hai ospitato, nudo e non mi hai vestito, malato e in carcere e non mi hai visitato”.
Di fronte ai problemi c’è la tendenza a “buttarla in politica”. Io, da parecchio tempo, la butto in religione, o per meglio dire “in Vangelo”. Pacifista, comunista, integralista cattolico? No, solo un povero cristo che cerca di trovare il bandolo della matassa nel vero e grande Cristo. Con quali risultati? Spero conti soprattutto la retta intenzione mia e l’onnipotenza di chi sa trarre il bene anche dal male.