Chiusi i seggi a Monza e in Brianza – dove si è votato il 22 e 23 ottobre per l’elezione suppletiva che assegnerà il seggio del Senato rimasto vacante dopo la morte di Silvio Berlusconi. Il dato più importante, per quanto non inaspettato, è quello dell’affluenza: molto bassa, non ha superato il 20%, ovvero meno di una persona su cinque avente diritto di voto si è recata alle urne. Precisamente, la partecipazione nei 55 Comuni di Monza e Brianza si è fermata al 19,23%. Rispetto al 25 settembre 2022, giorno delle politiche, la contrazione è di circa 52 punti percentuali: allora per lo stesso seggio del Senato l’affluenza fu del 71,05%.
Quando scrivo questo commento non si sa nulla su chi sia risultato eletto tra Adriano Galliani, berlusconiano doc e Marco Cappato radicale doc. Meglio così, perché voglio fare un ragionamento pre o post-politico.
Conversando con amici sulla disastrosa situazione che stiamo vivendo, è emerso come i due punti delicati, che la imbalsamano e la rendono senza via d’uscita, siano la mancanza di classe dirigente a livello politico e la concatenata e favorita distrazione di massa: per dirla in parole povere, la gente è completamente e mediaticamente fuorviata, non sa che pesci pigliare, ha perso ogni e qualsiasi riferimento e quindi non partecipa al voto. Il dato di Monza è veramente e clamorosamente significativo. Esiste una protesta latente che non trova sbocchi e, per ora, si sfoga nell’astensionismo. Fino a quando?
Per stare in casa nostra, vale a dire in Italia, la destra si accontenta di una maggioranza fatta da una minoranza elevata alla seconda e, in fin dei conti, non può che puntare lì, al nuovo qualunquismo riveduto e scorretto. Mi capita di interloquire con persone che, alle ultime elezioni politiche, hanno provato, perso per perso, a votare la destra di Giorgia Meloni e ne sono amaramente pentiti. Non oso chiedere a loro come voteranno alla prossima occasione, ma dai ragionamenti che mi fanno penso che andranno a infoltire la schiera degli astenuti. Situazione analoga, anche se meno reattiva, si incontra con gli elettori che hanno provato, per difendere quello straccio di democrazia che ci rimane, a votare a sinistra o giù di lì. Non hanno il coraggio di parlare, perché forse ne direbbero delle grosse, ma alla fine andranno anch’essi a rifugiarsi nel non voto.
Come se ne esce? Dal momento che la democrazia non è uno scherzo e c’è chi ha versato il proprio sangue per conquistarla, si può solo sperare che si possa ripartire dai bassifondi della politica, dai piccoli gruppi di impegno civile, dalle riunioni degli sfigati, dai dibattiti dei testardi, dalle idee che vengono da lontano. Aleggia lo spettro della violenza senza capo né coda. Credo soltanto nella protesta di piazza dei giovani studenti: la storia insegna che sono sempre stati dalla parte giusta contro i regimi anti-democratici di tutto il mondo. Non hanno nulla da perdere e tutto da inventare. Peccato che io non sia più giovane e non sia più uno studente. Il mio sogno è quello di comunicare loro le mie modeste esperienze politiche, ammesso e non concesso che possano a loro interessare.
Mi hanno fatto sorridere in campagna elettorale (?) le sparate integraliste cattoliche contro Cappato: poveretti…non sanno quello che dicono. Nel marasma generale si attaccano ai principi del Vangelo non capendo che Gesù parlava un’altra lingua. Piuttosto che fare così è meglio astenersi in assordante silenzio.
Qualcosa dovrà pur succedere. E se provassimo a mandarli a casa tutti per ripartire da zero. Pericolosissimo! E allora andiamo avanti così? Ci sono due personaggi che hanno il carisma e la credibilità per fare qualcosa nei loro rispettivi e diversi ambiti. Possibilmente in fretta, perché il loro tempo sta per scadere. Papa Francesco e Sergio Mattarella. Non siano troppo discreti, ci aggrediscano con i valori di cui sono portatori. Il primo ha il Vangelo dalla sua parte, il secondo la Costituzione. Da parte mia faccio la parte dell’integralista dell’anti-integralismo, della piccola persona che prova a gridare qualcosa di grande. Loro facciano come faceva il mio caro amico don Luciano Scaccaglia con le sue evangeliche provocazioni liturgiche. Mi perdoneranno l’invadenza dettata da sani istinti di umanesimo integrale.
I gesti erano genialmente ed immediatamente allargati dal loro religioso simbolismo all’impatto esistenziale. Durante la celebrazione del Battesimo sull’altare venivano posti due riferimenti essenziali: la Bibbia e la Costituzione italiana. L’una chiedeva al cristiano la fedeltà alla Parola di Dio, l’altra al cittadino l’attivo rispetto dei principi democratici posti a base del vivere civile. Questo, secondo i detrattori del cavolo (resisto alla tentazione di usare un termine volgaruccio che lascio alla facile intuizione del lettore), anche altolocati, voleva dire fare politica in chiesa… Che ottusità mentale e culturale! Erano stupende e geniali provocazioni esistenziali, che contenevano autentici trattati di teologia coniugata con la laicità dello Stato. Discorsi sempre attuali di fronte al sottosuolo integralistico del cattolicesimo da cui emergono contingenti tentazioni allo scontro (di potere) che si camuffano e si sfogano soprattutto sui cosiddetti valori non negoziabili. Se, pertanto, fare politica in chiesa vuol dire affermarne la laicità ed auspicarne l’ancoraggio ai valori di giustizia, uguaglianza e solidarietà, don Scaccaglia faceva politica: egli, tra l’altro, cogliendo nel segno della duplice appartenenza del cittadino credente alla Chiesa e allo Stato, rispondeva con la duplice fedeltà al Vangelo e alla Costituzione, conciliando Chiesa e Stato nell’impegno concreto degli uomini e non sui principi astratti e sui compromessi giuridici o, peggio ancora, di potere.
Sempre durante la celebrazione battesimale il neonato veniva posto sull’altare quale dono offerto al Padre: certamente qualcuno si sarà scandalizzato nel vedere la tovaglia d’altare a contatto coi pannolini del prematuro catecumeno…Pensiamo proprio che Dio Padre si sarà irritato o si sarà piuttosto commosso di fronte a una sua creatura che veniva accolta ufficialmente nel gregge degli eletti’ Poi arrivava l’unzione col sacro Crisma: per dirla con la stupenda immagine usata da Luciano, Gesù Cristo in persona poneva la Sua firma indelebile sulla fronte del battezzato, che è di Cristo per tutta la vita.
Ma la più bella provocazione la colsi in una domanda, teologicamente assai provocatoria, che don Scaccaglia fece ad integrazione delle promesse battesimali (la riporto a senso): «Chi ha il coraggio di pensare che l’innocenza di questo bambino/a sia compatibile con la presenza del peccato originale? Il peccato originale non è una macchia, ma solo il limite della nostra natura umana riscattata da Gesù Cristo…». Provocazioni continue! Sì, fatte in stile evangelico, in nome del più grande provocatore della storia, Gesù Cristo.
Abbiamo bisogno di essere provocati senza pietà. Si dirà che sto facendo un sacco di confusione, che sto confondendo il sacro col profano, che scherzo coi santi per non lasciare stare i fanti, che sono in preda a delirio democratico. Ebbene rispondo che qualcuno ci dovrà pur insegnare come stare al mondo, dal momento che non ne siamo capaci… Pensa un po’: partendo dal non voto di Monza dove sono arrivato. Accetto scommesse sulla mia arteriosclerosi galoppante.