Titoli di Stato sotto pressione, con il rendimento che si impenna e lo spread Btp-Bund che torna su livelli di allerta. Il mercato obbligazionario italiano è sotto stress così come quello europeo. Si tratta di un effetto collaterale della decisione delle banche centrali europea e statunitense di continuare la lotta all’inflazione con tassi di interesse elevati ad oltranza.
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In questo contesto lo spread Btp-Bund sta tornano di attualità, balzando a livelli elevatissimi: oggi ha sfiorato i 192 punti. Il titolo di Stato italiano decennale stamattina aveva un rendimento del 4,7%. Anche il Bund decennale tedesco ha raggiunto il massimo dal 2011, con il rendimento al 2,8% (+7 punti base). Stessa dinamica per il titolo di Stato a 10 anni francese, con un rendimento a +3,4%. (dal quotidiano “Avvenire”)
Facciamo un salto indietro. Nel 2011 per uscire dalla situazione di emergenza finanziaria occorreva rimuovere urgentemente le cause che avevano indotto gli investitori internazionali a dubitare della solidità del bilancio pubblico italiano e, quindi, ad acquistare i titoli di debito italiani solamente a condizione che i relativi tassi d’interesse fossero abbastanza alti da compensare l’aumentato rischio. Le cause di sfiducia nei confronti dell’Italia erano: la scarsa o assente crescita del PIL, l’enorme stock di debito pubblico di nuovo in crescita a partire dal 2008, la scarsa credibilità del Governo e del sistema politico. E fu governo Monti!
Ebbene anche oggi il bilancio pubblico è un colabrodo, il debito pubblico sta raggiungendo livelli pazzeschi, la crescita del pil è scarsa, il governo, nonostante i numeri tranquillizzanti alle Camere, non ha credibilità e il sistema politico è più imballato che mai. Senza voler fare le cassandre, profetizzare sventure non è del tutto inammissibile.
L’Italia vive di scorribande internazionali della premier e di lodevoli iniziative quirinalizie, ma è isolata a livello europeo, impelagata con i sovranisti e gli estremisti, vista con estrema diffidenza dai partner più forti, protetta dall’ombrellino opportunistico statunitense giustificato soltanto dall’adesione italiana alla scriteriata politica bellica. Un giorno si litiga con Macron, un giorno con Scholz, un giorno si appoggia Ursula vond der Leyen, un giorno si punta a farla fuori con un’armata Brancaleone destrorsa. Il vestito governativo mediaticamente imbastito lascia trasparire un vergognoso nulla a livello programmatico e dirigenziale. L’opposizione non riesce a rappresentare un’alternativa valida, praticamente non esiste. L’elettorato è deluso e prende sempre più la strada dell’astensione dettata da insofferenza e sfiducia. Il pnrr da bengodi si sta trasformando in buccia di banana. L’immigrazione dilaga e non si intravede alcuna capacità di governarla seriamente. Nei cittadini aumenta un pericoloso e frenante senso di insicurezza.
Il quadro assomiglia molto a quello del 2011. Anche allora il governo Berlusconi sembrava forte e stabile, così come oggi il governo Meloni continua a rassicurare tutti sulla propria durata quinquennale, salvo alzare il tasso di litigiosità al proprio interno fino a raggiungere livelli farseschi. E allora?
Non so se essere preoccupato o se fare il tifo per una sorta di “tanto peggio tanto meglio”. In questi giorni confrontandomi con alcuni amici osservavo come anche nel passato remoto l’Italia abbia trascorso periodi difficilissimi, basti pensare al terrorismo. C’era però una differenza: esisteva una classe politica, con tanti difetti, ma con una certa sensibilità istituzionale, una certa capacità di governo e una conseguentemente certa credibilità. Oggi non esiste: il tuffo nel passato proposto dal funerale laico-politico di Giorgio Napolitano lo dimostra. Le esequie del Presidente emerito hanno messo a nudo l’inconsistenza odierna della classe politica a confronto di quella passata. Almeno io le ho lette così, come un malinconico e quasi disperato urlo di rimpianto e di rimorso.
Non resta che sperare, come del resto avvenne nel 2011, in un intervento salvifico del presidente della Repubblica ed affidarsi alla sua fantasia costituzionale, con un Mario Draghi dietro l’angolo a fare rima con Mario Monti.