Il fenomeno della violenza sessuale sulle donne sta diventando un elemento molto inquietante della vita sociale, assumendo contorni sempre più gravi e sconvolgenti, trascinando gli adolescenti in un autentico precipizio etico e prima ancora culturale.
Le analisi psicologiche e sociologiche si sprecano in un crescendo fatto di superficialità e parzialità con cui vengono elaborate e sciorinate. Due tesi vanno per la maggiore: quella che individua nella pornografia dilagante una causa fondamentale della violenza sessuale; quella che fa risalire ai comportamenti femminili trasgressivi un presupposto dello scatenamento delle aggressioni maschili.
Per quanto concerne la pornografia mi piace riproporre un piccolo episodio alquanto emblematico, che ho già citato in parecchie occasioni. Ricordo che, molti anni fa, monsignor Riboldi, battagliero vescovo di Acerra, durante una conferenza all’aula dei filosofi dell’Università di Parma, raccontò come avesse scandalizzato le suore della sua diocesi esprimendo loro una preferenza verso la stampa pornografica rispetto a certe proposte televisive perbeniste nella forma e subdolamente “sporche” nella sostanza. In fin dei conti, voleva dire, la pornografia pura si sa cos’è e la si prende per quello che è, mentre è molto più pericoloso il messaggio nascosto, che colpisce quando non te l’aspetti. In definitiva meglio la pornografia conclamata di quella subdola, meglio gli sporcaccioni e le sporcaccione in prima persona, nudi come mamma li fece, piuttosto degli sporcaccioni e delle sporcaccione in giacca e cravatta o in tailleur rosso sgargiante.
Certo la pornografia non è un adeguato presidio educativo, ma nemmeno l’elemento determinante che spinge verso una sessualità malata e violenta. Siamo alle solite: il sistema attacca se stesso come un soggetto che si guarda allo specchio e si scandalizza delle proprie vergogne. Cosa ha prodotto il nostro sistema in capo alla donna? Un cliché spaventosamente alienante e consumista. Se la donna è considerata una bambola, è consequenziale usarla come un corpo senza vita e senz’anima, per poi buttarla in un angolo o addirittura farla a pezzi. Una sorta di bambola gonfiabile o sgonfiabile a piacimento. Se non si parte da questa triste realtà culturale, le analisi e le battaglie a difesa della donna rischiano di essere velleitarie e di facciata.
Per quanto concerne la trasgressione femminile risulta comodo ed ingiusto colpevolizzare la donna nei suoi comportamenti sfacciatamente provocatori: è una storia vecchia che tende a trasformare le vittime in colpevoli. Un po’ più di prudenza ed autocontrollo non guasterebbe anche se non è ammissibile ascrivere alla donna la colpa di trasgressioni che lo stesso sistema subdolamente impone loro nei costumi, nelle mode, nell’impostazione dei rapporti con l’altro sesso. In una società dove bisogna essere belle e attraenti a tutti i costi non è possibile pretendere approcci castigati: tutto suona come incitamento all’esibizionismo sessuale per poi accorgersi che tale esibizionismo può scatenare un clima di autentica rissa psico-sociale in cui la donna è destinata a soccombere.
È perfettamente inutile ed irritante che il mondo televisivo si metta a posto la coscienza dedicando spazio alle storie di donne violentate, abusate, molestate, uccise, quando dai video pubblici e privati esce un’immagine femminile alienante e perfettamente funzionale ad un certo andazzo di sistema. Vale lo stesso discorso per il mondo del cinema e dello spettacolo: cosa propongono in materia? Sesso associato a violenza. Uomini e donne assetati di piacere, disposti a tutto pur di placare questa sete.
Non parliamo poi di castrazione chimica, discorso che tende a “incivilizzare” ulteriormente la situazione, imbarbarendo la battaglia per tentare di pacificare la guerra dei sensi: nessun dubbio che la donna sia la vittima principale del fenomeno, ma anche gli adolescenti maschi lasciati soli a gestire il loro “vulcano sessuale” sono indotti al protagonismo in un sistema tutto da rivedere, oserei dire da capovolgere.
Non voglio cadere nel sociologismo più o meno datato, ma il discorso di fondo sta nella cultura maschilista, sessista, antifemminista. I maltrattamenti, le sevizie, le mutilazioni, le uccisioni e gli stupri sono l’ultimo atto di una tragedia lunga in cui molti hanno una parte. Pensiamoci seriamente. Le bambole gonfiabili sono un grottesco diversivo in risposta alla patologia sessuale. Le bambole violentabili sono una colpevole responsabilità di un sistema malato, che non si cura coi pannicelli caldi delle analisi sbrigative, delle giornate celebrative, delle manifestazioni di protesta, etc. etc.
Ce n’è per tutti! Mia sorella, acuta ed appassionata osservatrice dei problemi sociali, nonché politicamente impegnata a cercare, umilmente ma “testardamente”, di affrontarli, di fronte ai comportamenti strani, drammatici al limite della tragedia, degli adolescenti era solita porsi un inquietante e provocatorio interrogativo: «Dove sono i genitori di questi ragazzi? Possibile che non si accorgano mai del pentolone che ribolle sotto la imperturbabile crosta della loro vita famigliare?». Davanti ai clamorosi fatti di devianza minorile, andava subito alla fonte, vale a dire ai genitori ed alle famiglie: dove sono, si chiedeva, cosa fanno, possibile che non si accorgano di niente? Aveva perfettamente ragione. Capisco che esercitare il “mestiere” di genitori non sia facile ed agevole: di qui a fregarsene altamente…