Da apprendista sociologo individuo tre fasi storiche nella portata socio-politica della pubblicità: quella antidiluviana e perbenista della “pubblicità è l’anima del commercio”, quella della vera e propria creazione dei consumi e quindi della società consumistica, quella della pubblicità come stampella del regime/sistema dall’informazione alla politica.
Ammetto che il nuovo spot pubblicitario della Esselunga, con la bimba, i genitori separati e la pesca per farli tornare insieme, mi ha messo in crisi e mi ha costretto ad uscire dagli schemi di cui sopra. Una pubblicità che gioca e specula, clamorosamente anche se molto intelligentemente, sui veri valori in forte contrasto con quelli falsi in voga nella società odierna mi scombussola. Non è più uno sguardo verso il futuro a prescindere dai valori, ma uno sguardo sul passato per recuperarne i valori in chiave consumistica: come se fosse finito l’armamentario pubblicitario tradizionale e allora si ricominciasse daccapo innescando nei cittadini-consumatori una sorta di rimpianto-rimorso finalizzato comunque a fidelizzarli, accantonando l’idea di capire la società e pronosticandone sic et simpliciter un ritorno strumentale al passato. Un cinismo nuovo ma morbido e sentimentale che sostituisce il duro realismo della narrazione economicistica.
Si tratta di un evento di carattere contingente o di svolta epocale? Letto in positivo potrebbe significare una pur relativa resipiscenza rispetto alle derive socio-economiche in atto; letto in negativo potrebbe rappresentare il tritacarne definitivo dei valori assimilati in tutto e per tutto a consumi.
Francesco Spini sul quotidiano “La Stampa” mette in evidenza come Youtrend abbia rilevato che sui giornali si parla più del cortometraggio Esselunga che dei conti pubblici. Questo dato la dice lunga sulla mera strumentalità del messaggio, abbinato oltre tutto alle proiezioni catastrofiche dell’Istat in materia famigliare ed apprezzato dall’attuale governo in quanto corrispondente al suo anelito “Dio, patria e famiglia”. Da una parte, come si legge in un’intervista a Oliviero Toscani di Simonetta Sciandivasci sempre su “La Stampa”, abbiamo la soddisfazione di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, per la prima lo spot è commovente, per il secondo è poesia pura; dall’altra parte abbiamo l’ostentato snobismo di Elly Schlein, che dice di non averlo visto. Della serie la pubblicità può fare anche politica, mentre la politica fa solo pubblicità a se stessa.
La pubblicità purtroppo, checché se ne dica, fa opinione: la gente si lascia incantare e toccare nel vivo forse più che nel portafoglio. Che il dibattito sui valori, a prescindere dalla loro autenticità e dal loro spessore umano e sociale, venga ridotto a mera e sbracata speculazione commerciale è cosa che dimostra, se ancora ce n’era bisogno, come la nostra società stia toccando il fondo. Speriamo che almeno questo “evento” possa scuotere non tanto i cuori come vorrebbe, ma le menti per capire fino a che punto di non ritorno siamo arrivati.