In questi giorni, seguendo la missione vaticana portata avanti dal cardinale Zuppi, prima in Ucraina e poi in Russia, ho provato a ragionare più col cuore e la fantasia che sulla base degli striminziti resoconti mediatici, immaginando un quadro diplomatico in cui collocarla.
A livello di rappresentanza religiosa credo che l’incontro con Kirill abbia avuto non tanto il senso di cercare accordi ecumenici a favore della pace (troppo storicamente esposta la chiesa ortodossa nei rapporti col potere e attualmente nel sostegno alla guerra contro l’Ucraina), ma di dare a Putin l’idea che il suo rapporto con l’istituzione religiosa a livello interno ed internazionale non si può esaurire nel piatto di lenticchie, più o meno succulento, offerto a Kirill e c. Della serie c’è anche il Papa, che non ha un esercito, che non può e non vuole punire gli ortodossi filo-russi e chiudere i monasteri ucraini in odore di putinismo, ma ha un potere enorme sulle coscienze degli uomini di buona volontà.
Sul piano del conflitto in corso, il Vaticano ha potuto presentarsi avendo sposato soltanto la causa del popolo ucraino e non quella di Zelensky (l’elemosiniere del Papa ha fatto la spola tra Roma e Kiev per portare aiuto, conforto e preghiera agli ucraini), riconoscendo obiettivamente gli errori commessi nel passato dall’Ucraina stessa e dall’Occidente (ricordiamoci la frase di papa Francesco sulla Nato che abbaiava alle porte di Mosca). Non è poco per Putin che, al di là delle sbruffonate populiste, si sente sempre più accerchiato e indebolito e probabilmente sta cercando disperatamente una via d’uscita rispetto al tunnel in cui si è infilato. La missione di Zuppi ha opportunamente puntato sugli aspetti umanitari (ritorno bambini deportati e scambi di prigionieri) su cui imbastire un dialogo concreto a prescindere dai massimi equilibri mondiali: l’unico terreno su cui Putin potrebbe concedere qualcosa di importante per recuperare consenso, credibilità e financo per salvare la propria pelle.
Un terzo elemento può essere quello della Cina e del suo ruolo in un eventuale sblocco della situazione bellica: forse solo il Vaticano, l’unica istituzione che abbia aperto un pur discutibilissimo e fin troppo pragmatico canale di dialogo con questa superpotenza (si pensi alla nomina dei vescovi etc. etc.), può tenere diplomaticamente in gioco la Cina (non certo gli Usa che ne sono terrorizzati, non certo l’Ue che non ne ha il coraggio, non certo gli opportunistici amici sparsi nel mondo pronti a farsi comprare o catturare). Può darsi che, in filigrana diplomatica, questo discorso possa mettere sull’attenti la Russia, che non può permettersi il lusso di perdere l’appoggio cinese (fino a quando?) e non può nemmeno sottovalutare il potere morale che, nonostante tutto, la Chiesa cattolica mantiene. Non è un caso che le due iniziative diplomatiche degne di tale nome verificatesi dall’inizio della guerra vengano dalla Cina (la proposta niente affatto sciocca dei dieci punti di accordo) e dal Vaticano (missione del cardinale Zuppi, uomo di assoluta fiducia del Papa), preparata e seguita da un certo lavorio diplomatico, ma abbastanza diretta e degna di essere presa sul serio.
Le telefonate di Macron, i tavoli di Erdogan, i vini di Berlusconi, le pacche sulle spalle affibbiate da Xi Jinping non sono serviti certo a dissuadere Putin dalle sue mire imperiali. Vuoi vedere che Papa Francesco, il meno politico di tutti i papi della storia, riuscirà a scalfire la folle corazza imperialista e atomica di Vladimir Putin?
Intorno a papa Bergoglio si potrebbe venire a creare una “santa alleanza” (udite, udite…) tra Vaticano, Cina di Xi Jinping e Usa di Donald Trump. Cosa non si fa per la pace. D’altra parte, come sosteneva papa Giovanni XXIII, la Chiesa non ha nemici, anche con quelli che possono assomigliare maggiormente al diavolo si può (e si deve?) dialogare. Il Padre Eterno, scrivevo recentemente, è l’unico che sa trarre il bene dal male; aggiungiamo pure che Dio scrive dritto sulle righe storte degli uomini. E se il vicario di Cristo in terra riuscisse a mettere in riga un po’ tutti, senza fare politica, ma schierandosi coerentemente in difesa delle creature umane sofferenti?