Fino a prova contraria la Rai eroga un servizio pubblico, vale a dire un servizio di trasmissioni radiotelevisive, prodotto direttamente o indirettamente dallo Stato, che dovrebbe garantire imparzialità, completezza d’informazione e tutela delle varie componenti della società. La radiodiffusione pubblica, inoltre, punta a coltivare la qualità della propria audience attraverso programmi educativi e culturali. Per tale servizio valgono gli stessi principi degli altri servizi pubblici (eguaglianza, continuità e adattamento).
Nel nostro Paese purtroppo tutto ciò che è pubblico, a torto o a ragione, viene considerato di scarsa qualità e fruibilità. Di qui la fuga verso il privato, come sta avvenendo nel campo della sanità. Si pagano tasse e contributi, ma quando si ha bisogno di prestazioni sanitarie, che dovrebbero essere garantite a tutti, cominciano i dolori: attese interminabili, medicinali non gratuiti, impossibilità di scelta, disorganizzazioni e disfunzioni, etc. etc.
Forse è presto per dirlo, anche se per i giudizi politici dovrebbe valere il principio che non è mai troppo presto, ma l’attuale governo sembra orientato a svuotare o addirittura smantellare la sanità pubblica a conseguente favore di quella privata. Sarebbe gravissimo. Se a questo andazzo aggiungiamo la tendenza alla cosiddetta autonomia differenziata fra le diverse Regioni, abbiamo la prospettiva di una sanità pubblica con abito leggero e da arlecchino.
Probabilmente, a livello di servizio pubblico radiotelevisivo, si pensa di fare altrettanto, utilizzandolo unicamente come strumento di potere in grado di garantire il consenso politico a scapito della qualità, del pluralismo, dell’imparzialità e della completezza. L’effetto è anche quello di privilegiare indirettamente le televisioni private, chiudendo così il cerchio detenuto dal potere economico-politico, che diventa un vero e proprio cappio al collo del cittadino-utente. Siamo a livello di veri e propri assetti di regime.
Difficile difendersi da questo attacco: le leggi sono quel che sono e per quanto concerne la Rai hanno finito per legalizzare la lottizzazione come male minore, rendendola una sorta di prigione dorata da cui non si esce. Non mi illudo che la politica possa fare un passo indietro, mi accontenterai se avesse il buongusto di fare un passo di lato, consentendo almeno un livello qualitativo tale da rendere appetibile la proposta radiotelevisiva per i cittadini (oltre tutto obbligati al pagamento di un canone).
Da bambino ho chiesto ripetutamente a mio padre di darmi alcuni ragguagli su cosa fosse stato il fascismo. Tra i tanti me ne diede uno molto semplice e colorito. Se c’era da scegliere una persona per ricoprire un importante incarico pubblico, prendevano anche il più analfabeta e tonto dei bottegai (con tutto il rispetto per la categoria), purché avesse in tasca la tessera del fascio e ubbidisse agli ordini del federale di turno. «N’ éra basta ch’al gaviss la tésra in sacòsa, po’ al podäva ésor ànca un stupidd, ansi s’ l’éra un stuppid, ancòrra méj…».
Nelle attuali nomine Rai manca la ricerca della qualità e sembra quasi che si voglia delineare un quadro in cui le eccellenze siano costrette a “prendere dell’aria”, in cui prevalga la tendenza a legare l’asino dove vuole il padrone, in cui domini il più piatto dei conformismi culturali, in cui trovi sbocco la mera rivincita tattica della destra contro il presunto monopolio culturale della sinistra. Siccome c’è il rischio che siano troppe le voci critiche, ad esse non si risponde nel merito, ma nel metodo, vale a dire tacitandole sul nascere, eliminandole fin dal principio.
Ricordo che, per sintetizzarmi in poche parole l’aria che tirava durante il fascismo, per delineare con estrema semplicità, ma con altrettanta incisività, il quadro che regnava a livello informativo, mio padre mi diceva: «Se si accendeva la radio “Benito Mussolini ha detto che…”, se si andava al cinema con i filmati luce “il capo del governo ha inaugurato…”, se si leggeva il giornale “il Duce ha dichiarato che…”». Tutto più o meno così e rischia di essere così, in forme e modi più moderni ma forse ancor più imponenti e subdoli, anche oggi in Italia.
Ci sono due modi per mettere a confronto le diverse idee: favorire la loro espressione al miglior livello qualitativo possibile oppure metterle tutte a tacere, affondandole in un opportunistico caos calmo. Stiamo andando verso la seconda malaugurata e pericolosa opzione.