Gufare significa augurare o portare sfortuna. Se un amico o un conoscente continua ad insistere dicendo che qualcosa non andrà nel verso giusto, significa che sta gufando. Allo stesso quando ti fa un augurio troppo sicuro può essere recepito come l’augurio contrario e quindi come una gufata.
Perché si dice gufare? Il gufo in passato nella cultura popolare era considerato, per via di credenze superstiziose, portatore di sfortuna e malasorte; era considerato un simbolo funesto e oscuro ed ecco che gufare, ovvero fare il verso del gufo, significa portare sfortuna, scalogna.
Il proliferare delle piattaforme legate al calcio e il sempre maggior interesse da parte dei tifosi che assistono a partite in TV ha aumentato la popolarità di questa pratica: la gufata. Gufare significa dire a un amico che la sua squadra vincerà sicuramente la partita o il campionato. Capite bene che il tifoso di calcio non sarà contento. Ma la gufata funziona anche al contrario.
Prima della partita fra Italia e Spagna, incontro di semi-finale di una relativamente nuova competizione calcistica, la Nations League, sono stato tirato per i capelli verso la gufata. Non sono umanamente superstizioso e non sono calcisticamente fanatico fino a questo punto. Però l’altra sera osservando i giocatori della nazionale italiana mentre scendevano dal pullman per entrare allo stadio, mentre facevano il riscaldamento sul campo in vista della partita, li ho visti talmente gasati e pieni di sé da prevedere (quasi da desiderare) una sconfitta che li potesse riportare coi piedi a terra.
Due calciatori in particolare erano nel mio mirino: Leonardo (Leo per gli amici) Bonucci e Gianluigi (Gigio per gli ex amici) Donnarumma. Del primo ricordavo l’arrogante atteggiamento tenuto nei confronti delle forze dell’ordine al fine di “imporre” la esagerata e rischiosa passerella trionfante per le vie di Roma, rovinando così la bella e misurata cerimonia al Quirinale appena terminata. Sembrava il padrone d’Italia, voleva a tutti i costi il bagno di folla, esigeva l’incoronazione popolare a eroe del pallone italico. Andò così e le autorità si piegarono alle petulanti esigenze della follia celebrativa del dopo campionato europeo. Del secondo valutavo il comportamento sbracatamente affaristico tenuto in occasione del suo trasferimento dal Milan al Paris Saint Germain con tanto di sacrosante accuse di “tradimento”, non tanto del Milan sua società di partenza carrieristica, ma di quel minimo di etica professionale che dovrebbe connotare anche il mondo del calcio. Per lui si preannunciava una serata di fischi amici dopo gli striscioni pesantissimi esposti per la sua “accoglienza” a San Siro.
A quel punto mi sono fatto una domanda retorica: vuoi vedere che questa sera il pallone calcistico italiano subirà una bella inevitabile “sgasata”? Forse gufavo, forse come Cassandra profetizzavo il peggio, ma ci stavo azzeccando. Sul campo, al di là della evidente superiorità della nazionale spagnola meritevole di una rivincita rispetto all’eliminazione così sportivamente e amichevolmente accettata ai recenti campionati europei, si sono verificati due fatti emblematici. Una ridicola e clamorosa “gatta” di Donnarumma a suggello della incontenibile tortura dei fischi che piovevano dagli spalti, degna di un portierino qualsiasi di una qualsiasi squadra di pulcini, che fortunatamente non ha regalato il goal agli spagnoli solo per una fortunosa combinazione. Una stupida e arrogante espulsione di Bonucci, strameritata in conseguenza di un comportamento assai poco cavalleresco, dettato dalla presunzione di sentirsi troppo forte, intoccabile, superiore alle regole.
I due pilastri della nazionale si sono sgretolati come se fossero di sabbia, la sabbia della presunzione e dell’arroganza. La partita, secondo me, è andata di conseguenza. Ha vinto la Spagna, come avevo modestamente “gufato”. Si sono un po’ tutti sgasati, ci siamo un po’ tutti ridimensionati. Era ora. Il mondo che “trionfalizza” precipitevolissimevolmente i divi del momento, altrettanto sbrigativamente li butta nella polvere dopo averli innalzati sull’altare. I Padreterni di aria fritta tornano ad essere degli Adamo di sabbia mobile. Tutto sommato meglio così: una strana giustizia del fato, che dovrebbe fare riflettere, ma che invece verrà considerata punitiva in attesa delle prossime illusioni di regime sportivo.