Sergio Mattarella, l’ultimo dei giusti della politica con la “P” maiuscola, dopo avere sopportato correttamente per parecchio tempo la politica politicante, che si era addirittura ridotta a politica insignificante, ha avuto, complice l’emergenza pandemica, il coraggio di mandarla in cantina fra le cianfrusaglie che ogni tanto ritornano utili o, se si vuole essere un po’ più eleganti, in terrazza a respirare una boccata di aria pulita. Lo spazio lasciato vuoto è stato occupato dai cosiddetti tecnici, i cui pregi sono risultati subito piuttosto evidenti e i cui difetti stanno progressivamente ed inesorabilmente emergendo.
Mattarella, con la sua sacrosanta voglia di mettersi a riposo, rischia di lasciare a metà il lavoro intrapreso: forse solo lui, rimanendo in sella ancora un poco, potrebbe ripristinare il collegamento tra società e politica, arrivando in parata con Mario Draghi alla scadenza elettorale del 2023, allorquando la politica, bene o male, dovrà presentarsi ai cittadini con un abito dignitosamente rinnovato. Il time-out mattarelliano dovrebbe protrarsi oltre il febbraio 2021, scadenza del mandato presidenziale, per consentire alla politica di riprendere la partita con un minimo di capacità di gioco.
La politica politicante invece scalpita e vuole risalire la china e recuperare protagonismo a tutti i costi, senza quel lungo bagno di umiltà che le sarebbe necessario per ritrovare capacità e credibilità. La permanenza di Mattarella al Quirinale sembra ormai assai improbabile, a meno che i partiti politici non facciano l’ennesimo flop, trasformando l’elezione presidenziale in una rissa da “cortile pirlamentare”. Qualcosa di simile è successo alla scadenza della presidenza di Giorgio Napolitano, richiamato in causa per salvare il salvabile.
Draghi non sembra interessato alla scalata quirinalizia, che per la verità sarebbe alla sua carismatica portata, ma che toglierebbe alla presidenza della Repubblica quel pizzico (?) di politico di cui il Paese ha bisogno come del pane. In parole povere Mario Draghi non sarebbe in grado di chiudere il circolo virtuoso aperto da Mattarella, anche perché la sua uscita da Palazzo Chigi sarebbe intempestiva, prematura e foriera di derive governative o elettorali. A quel punto si andrebbe a un governo sotto stretta tutela draghiana in una inedita e pericolosa sovrapposizione di ruoli costituzionalmente ben separati oppure ad una incontrollabile rimessa in pista della politica politicante prima o dopo elezioni al buio.
I partiti, tanto per (non) essere seri, si stanno preparando a ridiscendere in campo frettolosamente, senza alcuna preparazione atletica, per giocare la partita del Quirinale in base a schemi di stucchevole scontro o di incredibile dialogo. Mattarella fa loro ombra e quindi meglio che se ne vada a casa in fretta: fanno finta di goderlo, ma in realtà non vedono l’ora che tolga l’incomodo. Se Mattarella fa ombra, Draghi fa tempo nuvoloso stabile: portarlo in trionfo al Quirinale potrebbe essere una soluzione, però potrebbe essere ancor peggio di Mattarella per l’ulteriore ridimensionamento degli spazi di recupero della politica politicante.
Allora come finirà? Le previsioni sull’elezione del capo dello Stato sono sempre state regolarmente smentite. Mi limito pertanto a tremare all’eventualità che il nuovo presidente della Repubblica possa uscire dal cappello a cilindro del dialogante duo Meloni-Letta; ancor peggio da un colpo di mano tattico salvinian-berlusconiano con tanto di prezzemolata renziana; peggio ancora da un tritacarne di veti incrociati da cui spunterebbe un presidente travicello ostaggio dei partiti. In conclusione la vedo molto male. Queste cose Mattarella le sa benissimo: se non accetta pregiudizialmente una rielezione avrà i suoi buoni motivi. Non vorrei che si fosse convinto che la politica per riprendersi abbia bisogno di un bagno di sangue, di una terapia d’urto o addirittura di interventi chirurgici, una volta esaurita la sua ragionata e calibrata cura: col rischio che il malato possa anche soccombere. Staremo a vedere.