«Per alcuni membri selezionati della nostra comunità, non applichiamo le nostre politiche e i nostri standard. A differenza del resto della nostra comunità, queste persone possono violare i nostri standard senza conseguenze». Facebook ha concesso a 5,8 milioni di utenti vip in tutto il mondo – persone di spicco nella politica, nell’industria, nello sport, nello spettacolo – di violare sistematicamente le regole che la piattaforma si è data (e tanto ha reclamizzato) per limitare l’odio, il revenge porn, le discriminazioni, di genere e religiose. Così risulterebbe da documenti interni dell’azienda svelati da Wall Street Journal. Anche in Italia sarebbero stati favoriti politici e persone che potevano rappresentare «un problema di pubbliche relazioni». (Jacopo Iacoboni su La stampa).
Niente di nuovo sotto il sole: della serie “Tutti sono uguali, ma c’è chi è più uguale di altri” (vedi la Fattoria degli animali di Orwell). I regimi comunisti hanno puntato all’uguaglianza, ma ottenendola di fatto all’ingiù, vale a dire rendendo tutti ugualmente poveri e mantenendo i privilegi per le burocrazie politiche imperanti.
È pure vero che, come ha affermato Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni nel novembre del 1947, “è stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Tuttavia il dilemma della combinazione fra libertà e uguaglianza è ancora e più che mai aperto e irrisolto. Le regole non valgono per tutti, si riescono apertamente o nascostamente ad aggirare: si fa un gran parlare della regolamentazione dell’uso dei social, poi si scopre che i codici di comportamento non valgono per tutti e si ripiomba nel caos.
Sono portato a ritenere che, se nella società si prescinde da determinati valori e principi, non v’è regola che tenga. Per un’automobile che viaggia a velocità pazzesca i freni servono a poco ed è difficilissimo usarli, a volte addirittura possono aggravare le conseguenze degli incidenti.
Revenge porn o revenge pornography, traducibile in lingua italiana in vendetta porno o pornovendetta, sono espressioni della lingua inglese che indicano la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite Internet, senza il consenso dei protagonisti degli stessi. Mettere argini a simili prassi è quasi impossibile, a meno che le persone stiano bene attente ad evitare l’intromissione diretta o indiretta nella propria intimità. Una volta inserita un’immagine nel circuito chi riesce più a controllarla?
Non sono un frequentatore di social-media, ma sento che, navigandovi, ci si imbatte facilmente in autentiche cloache di odio, discriminazioni, criminalizzazioni, porcherie di ogni genere: uno sfogatoio sociale di tutte le peggiori inclinazioni. Mettere ordine in questo ginepraio è impossibile. Se poi partiamo addirittura col piede sbagliato delle eccezioni che sconvolgono le regole, non ne usciamo più.
Ero sull’autobus, circa a metà mattina, e osservavo come il traffico e la confusione fossero contenuti (era luglio e si vedeva), ma, come spesso accade, i fatti si prendono la briga di smentire immediatamente i pensieri: l’autobus si blocca improvvisamente e rientriamo in piena bagarre per una strettoia, impediti a sinistra da mezzi per lavori stradali e a destra (ogni riferimento alla logistica politica è puramente casuale) da un suv (io le chiamo camionette, fuoristrada per la precisione) grosso, ingombrante, lussuoso, decisamente bello sul piano estetico.
L’autista del bus, alquanto spazientito, dava sfogo alla propria eloquente gestualità per far capire al conducente del suv la necessità di spostare il mezzo: altrimenti non si poteva passare. Devo ammettere che, molto educatamente, l’autista in questione non aveva fatto ricorso al clacson illudendosi di risolvere la questione senza bisogno di immettere baccano in un ambiente abbastanza tranquillo. Ma Toscanini non ottenne l’effetto sperato perché il suonatore faceva finta di niente, sperava che non si rivolgessero a lui (o meglio stava facendo il finto tonto).
L’autista imperterrito continuava a gesticolare tentando di rendere l’idea: se non sposti il suv, il bus ti viene in cul (scusate la volgarità, ma il messaggio era quello). Finalmente il “tonto di lusso” si degna di scendere dal suo potente mezzo con l’intenzione di parlare all’autista direttamente: forse ci siamo, pensavo tra me, dove non poterono i gesti risolveranno le parole.
Il dialogo non fu concitato per merito del pubblico dipendente che si limitò ad esporre la sua oggettiva impossibilità a proseguire la corsa. Da parte sua “il fenomeno” se ne uscì con una pirandelliana affermazione: “Ma io devo andare in banca !!!!…” (nell’agenzia proprio a lato).
Non so come, ma l’autista del bus non si agitò, si limitò a scuotere il capo mentre l’altro continuava dicendo: “Perché non chiede di spostare il mezzo di lavoro stradale?”. Risposta anche troppo equilibrata: “Ma le sembra possibile?… e poi le faccio presente che esiste un divieto di sosta molto ben visibile”. Dopo qualche residua insistenza il suv venne finalmente spostato e il traffico riprese normalmente e ammetto sinceramente di non essermi minimamente preoccupato dell’urgente operazione bancaria di quell’assurdo signore.
A questo punto mi chiederete cosa c’entri questo episodio, pur molto curioso, con la regolamentazione dei social. Apparentemente nulla, sostanzialmente tutto. Proviamo per un attimo ad immaginare come avrebbe reagito il mio illustre genitore, perché sono convinto che non gliela avrebbe fatta passare liscia. La più probabile delle battute avrebbe potuto essere: “Ch’al sénta fèmma un lavor, spostèmma la banca e s’nin pärla pu”.
Al povero papà, che credeva così fermamente alle regole ed alla necessità di rispettarle, l’episodio sarebbe andato di traverso: assistere impotente al sopruso di un presuntuoso, proprio a lui, che ingenuamente si illudeva di risolvere il problema dell’evasione carceraria apponendo un cartello “chi scappa sarà ucciso”, sarebbe toccato constatare che i cartelli e le regole in genere non hanno un effetto diverso dal nulla. Immaginiamoci se poi non valgono per tutti: in fin dei conti siamo tutti più uguali di altri…