L’eurodeputata Francesca Donato ha lasciato la Lega: “Nel partito prevale la linea di Giorgetti”. La mia immediata reazione è stata: “Ha impiegato parecchio tempo ad accorgersene…”. La spaccatura all’interno della Lega è infatti presente da molto tempo, oserei dire da quando Matteo Salvini ne ha varato la riedizione riveduta e scorretta. In discussione, come scrive Francesco Olivo su La stampa, è la strategia di fondo, vale a dire la svolta nazionalista che Salvini ha imposto negli ultimi anni, trasformando un movimento autonomista, e a tratti indipendentista, in una forza nazionalista (italiana).
Se vogliamo sintetizzare il discorso con una metafora politica fuori dai denti, Umberto Bossi col tricolore ci si puliva il culo, mentre Matteo Salvini ne sta facendo il simbolo del partito. La Lega ha due punti di forza: il radicamento territoriale e la classe dirigente periferica. Su questi riferimenti sta avvenendo una sorta di scissione strisciante, per dirla sempre con La Stampa, tra i “governisti” di Giorgetti e Zaia e i “duri e puri” di Durigon, Fontana, Romeo e Bagnai.
Il prossimo bagno elettorale la dirà lunga sul futuro leghista: prevarrà la linea nazional-populista di Salvini in conflitto collaborativo con FdI oppure la linea federal-autonomista fortemente spalleggiata dalle regioni tradizionalmente forti del movimento. È forte la snobistica tentazione di lasciare la Lega al proprio destino per parlare di cose serie. Ma purtroppo il futuro politico dell’Italia passa anche da queste beghe leghiste.
Che effetto avranno tali contrapposizioni, peraltro non solo e non tanto personalistiche ma strategiche, sulle elezioni del 2023, quelle in cui i più autorevoli commentatori prevedono un successo del centro-destra. Sposteranno solo gli equilibri interni a questo schieramento, finendo col regalarlo a Giorgia Meloni sotto lo sguardo attonito di un impotente Berlusconi, oppure romperanno anche le uova nel paniere del consenso elettorale, mettendo in discussione la fiducia che gli italiani sembrano avere verso questa accozzaglia, costituita da un centro che guarda sempre più insistentemente a destra.
Cosa potrà succedere nei due anni che ci separano dalla prossima consultazione elettorale nazionale? Il clima emergenziale destinato a durare nel tempo dovrebbe lavorare a favore dell’ala governista a livello centrale (appoggio a Draghi) e a livello periferico (il senso di responsabilità di Luca Zaia). Ma il clima sociale sta diventando incandescente e potrebbe condizionare e favorire le scelte più radicali di una Lega alla mercé della piazza e della lotta.
Non intendo gufare, anche perché, se Atene piange, Sparta non ride. L’intero panorama politico italiano soffre di estrema precarietà e di mancanza di una leadership credibile. Fino a quando potranno sostenersi reciprocamente i traballanti duellanti: non vorrei che, tutto sommato, esistesse una sorta di patto tacito per vivacchiare all’ombra di un governo Draghi sempre più svuotato e indebolito, con la politica tenuta a bagnomaria e la tecnica a farle da paraninfo.
E se spuntasse una sorta di governo dei governisti di tutte le aree: un governo Giorgetti-Del Rio, tanto per fare due nomi a caso (?). A sognare si spende poco e, a volte, ci si può anche azzeccare. Volete scommettere che un simile governo avrebbe tutto l’appoggio di Silvio Berlusconi? La Lega di Salvini sarebbe messa alla frusta assieme al PD di Letta: entrambi costretti a fare i conti coi problemi del Paese uscendo allo scoperto. Simul stabunt vel simul cadent.