L’art. 49 della Costituzione Italiana dice che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Pertanto il metodo democratico sembra riferito alla sola competizione esterna fra partiti ed in effetti al di là del tira e molla dei movimentismi vari, al di là delle ricorrenti allergie verso il sistema piuttosto autoreferenziale messo in piedi nel tempo, i partiti rimangono la strada maestra per camminare su un sentiero realistico ed affidabile di partecipazione democratica.
In questo periodo si fa un gran parlare delle prossime elezioni amministrative in vari ed importanti comuni. Le elezioni comunali 2021 si terranno in una data compresa tra il 15 settembre e il 15 ottobre nei comuni con scadenza naturale del mandato degli organi eletti nel 2016 ed in quelli alle elezioni anticipate perché commissariati o per altri motivi. Andranno alle urne gli elettori di 1.335 comuni, di cui 1.147 appartenenti a regioni a statuto ordinario e 188 a regioni a statuto speciale. Alle urne ventuno comuni capoluogo di provincia (Benevento, Bologna, Carbonia, Caserta, Cosenza, Foggia, Grosseto, Isernia, Latina, Milano, Napoli, Novara, Pordenone, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Savona, Torino, Trieste e Varese), di cui sei sono anche capoluogo di regione (Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste). Superano i 100.000 abitanti le seguenti città: Bologna, Foggia, Latina, Milano, Napoli, Novara, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Torino e Trieste.
Siamo in presenza di un campione elettorale molto significativo e di un test piuttosto attendibile per le forze politiche in campo. Non ho idea di quanto influirà il clima pandemico su questa consultazione a livello di partecipazione e di orientamento nel voto. Partiti e coalizioni sono alla spasmodica ricerca delle candidature a sindaco. I sindaci infatti vengono eletti direttamente dal popolo e quindi occorre trovare personaggi dotati di particolare appeal verso gli elettori.
Molti commentatori ritengono l’elezione diretta dei sindaci una importante riforma capace di ammodernare e potenziare il sistema democratico al punto da proporla come paradigma per la revisione complessiva della legge elettorale. Sono sempre stato, e lo sono tuttora, molto scettico sulla portata politica del sistema elettorale e sulla sua taumaturgica influenza. Mi sento legato al dettato costituzionale e ritengo che la politica la debbano fare sostanzialmente i partiti, prima e al di là degli schemi elettorali mutevoli nel tempo e nello spazio.
Non mi convincono ad esempio i discorsi su “preferenza sì- preferenza no”, su “maggioritario o proporzionale”: la questione fondamentale è la capacità dei partiti di esprimere e proporre ai cittadini una classe dirigente all’altezza della situazione. Scegliere tra una ventina di candidati buoni a nulla non risolve il problema dei buoni a nulla. Preferisco giudicare e scegliere il partito sulla base delle candidature che esprime e non bypassare il partito andando dritto sulla scelta del candidato di turno. Essere costretti a votare fra due coalizioni contrapposte, magari raffazzonate per l’occasione, non risolve il problema della frammentazione partitica, lo nasconde al momento del voto per esserne pesantemente condizionati durante la legislatura.
Anche la tanto osannata e invasiva scelta dei sindaci la giudico un escamotage per mettere a posto la coscienza sporca dei partiti: lo dimostrano le grandi manovre di mero carattere cosmetico volte a trovare non le persone migliori, ma quelle che meglio camuffano e coprono le insufficienze dei partiti e che confondono la politica con la mera rappresentanza delle istanze della società civile andando alla ricerca di personaggi capaci di mettere d’accordo le capre partitiche con i cavoli pseudo-sociali.
Sia destra che a sinistra si è alla ricerca di candidature che confondano le carte e buttino negli occhi sbarrati dei cittadini il fumo di impossibili personaggi nuovi di zecca, capaci di risolvere più la competizione interna ai partiti ed alle loro coalizioni che il confronto aperto sui programmi e sulle idee. La personalizzazione dei discorsi politici va benissimo quando va di pari passo con la statura dei leader, ma è rischiosa quando serve a deviare e concentrare sui parvenu un dibattito che dovrebbe essere ben più ampio e profondo dell’appeal elettorale di tizio o caio.
Ecco perché seguo con molto scetticismo e poca fiducia il bailamme delle candidature a sindaco: il centro-destra le sta utilizzando per risolvere in qualche modo il dissidio latente sull’identità programmatica di un coacervo di forze così diverse, ma, tutto sommato, così simili. Il centro-sinistra sta cercando l’ago sindacale nel pagliaio di un patto elettorale tra un PD evanescente ed un M5S sempre più inesistente e allo sbaraglio. A destra si sta cercando la quadra tra la incredibile conversione moderata di Matteo Salvini e la populistica verve di Giorgia Meloni, come se bastasse un magistrato in Campidoglio per placare il dissidio esistenziale di una destra in perenne confusione democratica. A sinistra Enrico Letta e Giuseppe Conte stanno cercando di andare d’accordo bisticciando sulle candidature, come se bastasse confermare o rottamare Virginia Raggi per trovare un minimo comune denominatore fra troppe f(r)azioni partitiche.