Un mio carissimo e simpatico amico sosteneva che quando si vive nelle ristrettezze economiche non c’è scelta: bisogna andare a letto presto e finirla lì, perché il solo mettere il naso fuori di casa comporta una spesa insostenibile.
Nove milioni di italiani hanno approfittato del ponte del 02 giugno per una prima vacanza, dormendo almeno una notte fuori casa. É quanto emerge dai dati di Federalberghi, che però precisa al ribasso come la quasi totalità degli italiani, pari al 99,3% rimanga nel proprio paese. Di questi, il 69,6% si muove all’interno della regione di residenza mentre il 22,5% si sposta in qualche regione vicina e il 5,5% invece fa un viaggio un po’ più lungo. «In questo momento e dopo un anno come il 2020 vissuto in totale oscurità, sembra di poter gridare al miracolo» dice il presidente Bernabò Bocca, presidente della Federalberghi. Mi fa piacere, ma questi dati mi incuriosiscono e mi insospettiscono.
In Italia cresce ancora il numero dei “nuovi poveri” che hanno fame: lo evidenzia il monitoraggio della Caritas, impegnata con le sue sedi diocesane su tutto il territorio nazionale, ma anche l’indagine sulle famiglie italiane condotta dalla Banca d’Italia. Oltre il 6% della popolazione adulta non può garantirsi un pasto. Supera abbondantemente il 50% del totale il numero degli italiani che nel periodo compreso tra settembre 2020 e marzo 2021 si sono rivolti alla Caritas, in cerca di un aiuto – alimentare, ma non solo – per sopravvivere e sostentare la propria famiglia. Un dato significativo, non certo per fare distinzioni tra assistiti di serie A o B, ma perché evidenzia come quasi una persona su quattro, tra chi si è rivolto alla Caritas a cavallo tra il 2020 e il 2021, possa essere identificata come “nuovo povero”. Nel periodo in questione, infatti, delle 544.775 persone che hanno richiesto assistenza alla Caritas sul territorio nazionale – “in media 2.582 al giorno”, spiega il cardinal Bassetti – il 24,4% non si era mai rivolto prima alla rete assistenziale. E ampliando l’orizzonte all’intero periodo interessato dalla pandemia, nel corso di poco più di un anno, l’organizzazione ha accolto almeno 453.731 nuovi poveri. Il quadro emerge drammatico dall’ultimo monitoraggio condotto da Caritas Italiana, che registra la sofferenza delle sedi diocesane dislocate sul territorio: l’80% delle sedi diocesane della Caritas dislocate sul territorio ha registrato un aumento di situazioni legate ai bisogni fondamentali della persona (il lavoro, la casa, il cibo), ma anche di povertà educativa e di disagio psico-sociale, che colpisce soprattutto donne e giovani.
Una tendenza che trova riscontro nell’Indagine straordinaria sulle famiglie italiane ai tempi del Covid-19 condotta da Banca d’Italia e ripresa da Coldiretti per quel che riguarda i dati sulla povertà alimentare: quasi quattro italiani su dieci (38,6%) hanno smesso o ridotto gli acquisti nei negozi alimentari e di altri beni essenziali a causa dell’emergenza Covid. E dunque si torna a parlare di “nuovi poveri”, tutti coloro che hanno perso il lavoro, piccole realtà costrette ad alzare bandiera bianca, lavoratori sommersi impossibilitati a percepire i sussidi. Sono moltissime le persone che hanno conosciuto nell’ultimo anno la realtà delle mense dei poveri, ancor di più quelle che hanno fatto richiesta per ricevere pacchi alimentari. Tradotto ancora una volta in numeri, sempre secondo Coldiretti, il 6,3% della popolazione nazionale adulta ha difficoltà a garantirsi un pasto. Ma la percentuale varia dal 3,2% del centro Italia al 5,6% del nord, e sale fino al 9% nel Mezzogiorno. E secondo l’Istat, le persone affamate, in Italia, hanno superato quota 3 milioni.
I dati sulla povertà mi creano ansia e dispiacere, ma mi mettono in qualche confusione mentale. Fanno stupore infatti le reazioni degli italiani alla riapertura dei bar e dei ristoranti con possibilità di consumazione al banco e di mangiare al chiuso e all’aperto. Gli intervistati osano parlare di ritorno della felicità e di enorme sollievo. Il caffè è la bevanda nazionale degli italiani, un rito quotidiano irrinunciabile. Mi ha sempre stupito l’enorme quantità di persone che frequentano i bar: prime colazioni, coffe break, aperipranzo e apericena. Si facevano le gomitate ed ora si ricomincerà a farle.
Morale della favola: dove sta la povertà? Non credo che siano solo i ricchi ad andare al bar, al ristorante, in vacanza. E allora? C’è qualcosa che tocca? Forse si sta sempre più accentuando la netta separazione fra i veri poveri e chi povero non è. Mi auguro che chi non ha la disponibilità di un pasto non sprechi quei pochi soldi che ha accodandosi all’illusorio e costoso rito del bar. Io li chiamo i misteri della povertà.
Quando mio padre osservava il mare di automobili in viaggio per le vacanze, forse un po’ provocatoriamente ma tutto sommato sinceramente, diceva: “L’ é tutta colpa ‘dla miseria”, riconoscendo che in Italia di passi avanti se ne erano fatti. Nell’ultimo periodo abbiamo fatto molti passi indietro, almeno così si dice, salvo poi continuare a vedere un mare di automobili in coda sulle autostrade, un sacco di gente che si precipita al bar ed al ristorante, le pizzerie stracolme non solo a livello di asporto. Faranno tutti finta di essere ricchi? Ci sarà qualcuno che finge di essere povero? Due ipotesi, ugualmente agghiaccianti, da esorcizzare.
Silvio Berlusconi a chi gli poneva il problema della povertà rispondeva al limite del cinismo: vedo la gente in fila per andare al ristorante, dov’è la povertà? A suo tempo mi indignavo e credo sia ancora inaccettabile operare simili semplificazioni socio-economiche. Probabilmente c’è fila e fila: quelle davanti a bar e ristoranti e quelle davanti alle mense della Caritas. Speriamo che non ci sia confusione e interferenza tra di esse. Sarebbe il massimo!