La donna oltre la fatwa

La vicenda di Saman Abbas, la ragazza musulmana scomparsa nelle campagne del Reggiano e presumibilmente – allo stato attuale delle indagini non ancora concluse e quindi senza volere criminalizzare sbrigativamente alcuno – giustiziata in modo atroce dai suoi stessi famigliari per avere rifiutato un matrimonio combinato, mostra in filigrana un inquietante dubbio di legame, seppure improprio e indiretto, con la religione musulmana o almeno con certe usanze che in essa trovano un certo brodo di tolleranza.

Il noto giornalista e scrittore Corrado Augias qualche tempo fa si pose proprio questi interrogativi e avanzò laicamente una ipotesi che mi permetto di riportare e condividere pienamente: probabilmente, mentre le altre religioni hanno esaurito la loro carica di violenza e discriminazione, l’Islam fa molta più fatica, perché la cultura che sta sotto le altre religioni è evoluta, ma quella che sottende l’Islam è ferma al medio evo. Egli esprime un certo ragionato e fondato scetticismo sulla mobilitazione dei musulmani per liberare l’Islam da ogni e qualsiasi retaggio tribale: «Non credo che questo avverrà e non per tacita condivisione del gesto omicida ma perché quella cultura non è ancora arrivata alla fase in cui si manifesta pubblicamente un’istanza di rifiuto di gesti oltraggiosi». Forse qualcosa si sta muovendo anche se rimane tuttora un sottofondo di inquietante equivoco.

“È necessario un Islam italianizzato altrimenti in futuro ci saranno altre Saman Abbas…”. Lo ripete da tempo ai tavoli del ministero dell’Interno Ejaz Ahmad, giornalista pachistano e mediatore culturale, membro della Consulta Islamica. Ahmad vive in Italia – ora a Roma – da oltre 30 anni, di cui dieci a Bologna dove è stato tra le prime figure a lavorare per i processi d’integrazione dei connazionali (Quotidiano Nazionale).

Per Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia, nata nel 1990, l’ente religioso di rappresentanza dei musulmani più radicato nel nostro Paese, non c’è più spazio per le ambiguità sui matrimoni combinati forzati e l’usanza dell’infibulazione femminile. Il silenzio delle altre sigle del mondo musulmano italiano lascia tuttavia qualche residuo (?) dubbio sulla compattezza dei credenti islamici nei confronti di certe manifestazioni antifemminili violente e cruente.

Faccio riferimento di seguito a quanto scrive il quotidiano Avvenire. L’Ucoii ha pronunciato la parola “fatwa” a proposito della vicenda di Saman Abbas, vale a dire un parere religioso che trova le sue fondamenta nei testi sacri del Corano e nella tradizione profetica dell’islam. È successo in casi di gravità assoluta e la vicenda di Saman rientra tra questi. Lafram non vuole lasciare margini di ambiguità sulla vicenda. «Emetteremo una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l’altrettanto tribale usanza dell’infibulazione femminile» ha fatto sapere l’Ucoii, «in concerto con l’Associazione islamica degli imam e delle guide religiose». Inutile dire che la nota ha destato scalpore, in un contesto comunicativo abituato alle semplificazioni. In realtà, almeno per l’ente religioso più rappresentativo del mondo islamico nel nostro Paese, il principio della trasparenza è un carattere distintivo da tempo. Soprattutto dentro il mondo musulmano, a volte diviso e frammentato. «Noi ci mettiamo la faccia sempre, perché siamo a contatto con la nostra base che ci chiede proprio questo: nessun insabbiamento in vicende come queste, nessuna ambiguità». È il silenzio di altri mondi legati all’islam italiano che forse oggi colpisce il resto dell’opinione pubblica.
«Sappiamo che all’interno di alcune comunità etniche persistono ancora situazioni e comportamenti lesivi dei diritti delle persone» ha spiegato l’Ucoii, parlando di azioni che «non possono trovare alcuna giustificazione religiosa, quindi assolutamente da condannare, e ancor più da prevenire». In particolare, sul caso di Saman, il numero uno dell’Unione delle comunità islamiche ripete che «proprio dal punto di vista religioso si tratta di qualcosa di inammissibile. Non c’è nulla che possa spiegare tragedie del genere. Per questo, preghiamo per lei affinché ritorni sana e salva. E poi rivolgiamo un appello alla sua famiglia: non costruiamo odio ma amore partendo dal rispetto della vita».
Per quanto riguarda l’Ucoii, il percorso intrapreso sembra procedere in una direzione chiara. C’è un filo diretto che unisce il lavoro fatto negli anni passati da Izzedin Elzir, imam della moschea di Firenze, a ciò che sta facendo Yassine Lafram, che ha preso il suo posto. Non c’è solo l’impegno comune contro tutti i fondamentalismi, ma anche l’attenzione alla vita concreta delle comunità islamiche, i segnali di novità che si intravedono sul ruolo della donna, la presenza in situazioni difficili come il carcere, a dire che una parte importante del mondo musulmano nel nostro Paese vuole contare per ciò che realmente fa e rappresenta.

Mi preme fare qualche ulteriore considerazione oggettiva sul problema della donna nelle religioni, questione indubbiamente centrale e che, nelle prassi secolari, evidenzia una certa analogia di impostazione. Anche la posizione della donna a livello di dottrina dimostra che il cristianesimo parte in quarta con un vangelo spudoratamente femminista per poi ripiegare sul pazzesco maschilismo paolino, da cui ci sono voluti secoli per tentare di uscire e il cammino è tutt’altro che terminato. Con tutto il rispetto per la predicazione di Paolo, un cristiano dovrebbe comunque sempre rifarsi al dettato evangelico, alle parole e agli esempi di Gesù, ma purtroppo il Vangelo spesso è finito in soffitta coperto da una moltitudine di polverose scartoffie teologiche e dottrinali. Volendo concedere all’attuale dottrina cristiana un giudizio obiettivo, mi sentirei di ammettere che sulla questione femminile non siamo ancora tornati a Gesù, ma ci siamo significativamente allontanati dal pensiero paolino.

Purtroppo non è così per l’Islam che rimane saldamente ancorato ad una impostazione coranica scriteriatamente maschilista e antifemminista da cui non riesce a schiodarsi. Mentre il cristianesimo è riuscito gradualmente ad affrancarsi da una tradizione pesante e alienante, l’islamismo ne rimane vittima, anche perché non ha il riferimento evangelico (e non è poca cosa) a fargli da sponda.

In conclusione, pur ammettendo che anche il cristianesimo, non ha le carte in regola dal punto di vista teologico, dottrinale e storico sulla questione femminile, non è possibile in materia operare un parallelismo perfetto con l’Islam. Al di là dei miei dubbi, mi sembra resti aperta nell’Islam (non solo quello radicale o radicaleggiante), grande come una casa, la questione femminile che considero centrale. La portata della questione femminile e sessuale è veramente grande e decisiva nella nostra cultura, ma anche e soprattutto in quella islamica, non solo quella dei fanatici fondamentalisti, ma di tutto l’Islam a cominciare dai cosiddetti musulmani moderati: pur concedendo alla loro moderazione una significativa manifestazione di riguardo per la donna, la sua dignità, il suo ruolo, la sua persona, la sua libertà, riescono essi a trascinare tutti i credenti in Allah su un virtuoso percorso di rispetto della donna senza se e senza ma, a rischiarare l’Islam più oscuro?

Se sì, dopo esserci dati anche noi una bella e sana regolata in materia, possiamo ragionare e percorrere un tratto di strada insieme; se no, tutto diventa un ipocrita gioco delle parti e diventerà retorica (in negativo) la domanda seguente. Basterà ai musulmani formulare delle fatwe, scendere in piazza per cambiare drasticamente l’atteggiamento pseudo-religioso e anti-culturale verso il mondo femminile?