Il suo nome è Draghi Mario, ma non chiamiamolo drago

Era da tempo che non si registrava un così evidente, anche se giustamente discreto, protagonismo dei governanti italiani a livello europeo e mondiale. Mi riferisco alla recente partecipazione di Mario Draghi al G7 e al vertice Nato nonché al faccia a faccia col presidente americano Biden. Non si tratta di un presenzialismo di stampo berlusconiano, spettacolare al limite del pagliaccesco, ma di una sobria partecipazione in stile degasperiano, ancorata alle scelte storiche fondamentali dell’Italia, vale a dire, europeismo e atlantismo, fermamente ribadite e coniugate col dialogo aperto a tutti gli interlocutori senza rinunce valoriali ed appiattimenti extra-occidentali.

Se, come diceva Pietro Nenni, le idee camminano sulle gambe degli uomini, anche la politica, pur fondandosi sulle idee, ha bisogno di essere incarnata nelle persone investite democraticamente dei ruoli istituzionali. Non sembri superfluo ribadire fedeltà ai principi dell’europeismo in un periodo in cui l’Europa appare indebolita dalla Brexit, in chiara difficoltà nella gestione unitaria delle tremende sfide sul tappeto, intaccata dai tarli del sovranismo e populismo striscianti. Non appaia stucchevole il forte richiamo all’atlantismo quale ancoraggio ai valori democratici occidentali dopo le scriteriate spinte autarchiche del trumpismo e dei suoi ammiratori più o meno allineati e scoperti.

È proprio nei momenti di più grave difficoltà economica e di smarrimento sociale che urge riscoprire l’ancoraggio ai principi basilari, che dovrebbero guidare il progresso nel dialogo e nella collaborazione fra gli Stati ed i popoli. Sono state dette parole chiare, anche se pacifiche, per quanto concerne i rapporti con Cina e Russia, obbligati ma difficili interlocutori dell’Europa e degli Usa. Niente strizzate d’occhio diplomatiche, niente indulgenze valoriali, niente opportunismi affaristici, ma dialogo nel rispetto delle reciproche autonomie.

Ammetto di essermi sentito rassicurato dalle conclusioni emergenti dagli appuntamenti internazionali in cui l’Italia ha giocato pienamente e finalmente il ruolo che le compete. Merito soprattutto di un Mario Draghi in splendida forma, per nulla logorato dai tira e molla pandemici, per nulla indebolito dall’armata Brancaleone che lo sostiene obtorto collo in patria, per nulla distratto dagli elogi strumentali del continuismo di regime e dalle critiche aprioristiche dell’ideologismo datato, per nulla condizionato dagli ondivaghi atteggiamenti provenienti da una destra spiazzata e da una sinistra in pena, per nulla ringalluzzito dai consensi interni ed internazionali.

Mio padre, quando qualcuno si pavoneggiava e si dava un contegno, tenendo, come si suol dire, su le carte, ammetteva sconsolatamente: «L’importansa s’a t’ spét ch’ a t’ la daga chiätor…bizoggna ch’a te tla dàgh da ti». Mario Draghi non brilla di luce riflessa, non ha bisogno di cercare le lodi altrui e tanto meno di auto-incensazioni: non è l’uomo della provvidenza, ma l’uomo giusto nel posto giusto e al momento giusto. Il che non significa che sia un governante perfetto, ma solo un autorevole e credibile Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, che, ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione, “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”.

Le critiche si possono, anzi si devono fare, possibilmente senza picconare un personaggio che merita grande rispetto e collaborazione. Sono il primo ad ammettere che non abbia brillato nella gestione dell’emergenza pandemica e della procedura vaccinale, che faccia molta fatica a trovare una linea equilibrata e solidale nella gestione dell’immigrazione, che sia più capace di raffreddare i catastrofismi che di scaldare i cuori. Potrei continuare sfogando tutta la mia innata verve critica. Poi però mi dovrei fermare perché sentirei il fiato di mio padre sul collo che mi bisbiglierebbe all’orecchio: At pàr von ‘d coi che all’ostaria con un pcon ad gess in sima la tavla i metton a post tutt; po set ve a vedor a ca’ sova i n’en gnan bon ed far un o con un bicer…”.