Il papa di picche

E così papa Francesco, come potevasi immaginare, ha respinto le dimissioni presentate dal cardinale Reinhard Marx, il quale con questo gesto aveva chiesto di lasciare come risposta alla crisi degli abusi, che a suo dire chiederebbe una profonda riforma nella Chiesa. Il papa, al termine di una accorata lettera autografa scritta in spagnolo e subito diffusa, anche in una traduzione in lingua tedesca, dalla Sala Stampa vaticana, gli ha chiesto di rimanere alla guida dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga.

Nella mia povera e inconcludente vita sono stato spesso colpito da una sorta di “dimissionite acuta”: una sofferta e provocatoria spinta verso il doloroso rinnovamento del sistema in cui mi trovavo ad operare. Richiamo due esempi, uno ripreso dal mio impegno politico ed uno dalla mia esperienza professionale.

Quando decisi di uscire dalla Democrazia Cristiana, all’inizio della segreteria Forlani che portò l’Italia allo sfacelo (il famoso CAF), qualcuno cercò di convincermi a rimanere per non indebolire la componente interna di sinistra a cui da sempre aderivo. Risposi: “Con questo ragionamento si potrebbe ipotizzare paradossalmente una mia presenza nel Movimento Sociale Italiano (i fascisti di Almirante) per evitare che sia troppo di destra… Paradosso per paradosso è il ragionamento di chi sostiene che ci vuole più coraggio a continuare a vivere che a suicidarsi… Rispetto chi opera scelte diverse, ma pretendo altrettanto rispetto”.

Quando optai per il pensionamento anticipato (erano dimissioni belle e buone) rispetto al mio impegno professionale, motivato da gravi incompatibilità sistemiche di impostazione e gestione, mi arrivarono scarse solidarietà se non quelle dei colleghi più stretti. Mi colpì la reazione di chi si limitò a dare un giudizio estetico sulla lettera con cui abbandonavo il campo: un modo elegante per dirmi che comprendeva, ma non condivideva il metodo.

È sempre così: chi se ne va rischia di passare dalla parte del torto o comunque di non ottenere l’attenzione dolorosamente richiesta.

La risposta papale alle dimissioni del cardinale Marx, al di là dello scontato burocratico respingimento oserei dire dovuto, è evangelicamente sentimentale e toccante: “È urgente “esaminare” questa realtà degli abusi e di come ha proceduto la Chiesa, e lasciare che lo Spirito ci conduca al deserto della desolazione, alla croce e alla resurrezione. È il cammino dello Spirito quello che dobbiamo seguire, e il punto di partenza è la confessione umile: ci siamo sbagliati, abbiamo peccato. Non ci salveranno le inchieste né il potere delle istituzioni. Non ci salverà il prestigio della nostra Chiesa che tende a dissimulare i suoi peccati; non ci salverà né il potere del denaro né l’opinione dei media (tante volte siamo troppo dipendenti da questi). Ci salverà la porta dell’Unico che può farlo e confessare la nostra nudità: “Ho peccato”, “abbiamo peccato” … e piangere e balbettare come possiamo quell’“allontanati da me che sono un peccatore”, eredità che il primo Papa ha lasciato ai Papi e ai Vescovi della Chiesa. E allora sentiremo quella vergogna guaritrice che apre le porte alla compassione e alla tenerezza del Signore che ci è sempre vicino. Come Chiesa dobbiamo chiedere la grazia della vergogna, e che il Signore ci salvi dall’essere la prostituta spudorata di Ezechiele 16”.

Come al solito però papa Francesco è sistemicamente sgusciante, remissivo e finanche furbo, chiude il Vangelo in se stesso nella sua implacabile forza innovatrice e purificatrice a prescindere dalle strutture della Chiesa che lo dovrebbe testimoniare: “Il Signore non ha mai accettato di fare “la riforma” (mi si permetta l’espressione) né con il progetto fariseo, né con quello saduceo o zelota o esseno. Ma l’ha fatta con la sua vita, con la sua storia, con la sua carne sulla croce. E questo è il cammino, quello che tu, caro fratello, accetti nel presentare la rinuncia”.

Se il male c’è, lo si deve ammettere, ma non è consentito lasciare il terreno: “Mi piace come concludi la lettera: “Continuerò con piacere ad essere prete e vescovo di questa Chiesa e continuerò ad impegnarmi a livello pastorale sempre e comunque lo riterrà sensato ed opportuno. Vorrei dedicare gli anni futuri del mio servizio in maniera più intensa alla cura pastorale e impegnarmi per un rinnovamento spirituale della Chiesa, così come Lei instancabilmente ammonisce”.

E allora? Conclude il papa: “Questa è la mia risposta, caro fratello. Continua quanto ti proponi, ma come Arcivescovo di München und Freising. E se ti viene la tentazione di pensare che, nel confermare la tua missione e nel non accettare la tua rinuncia, questo Vescovo di Roma (fratello tuo che ti vuole bene) non ti capisce, pensa a quello che sentì Pietro davanti al Signore quando, a modo suo, gli presentò la rinuncia: “allontanati da me che sono un peccatore”, e ascolta la risposta: “Pasci le mie pecorelle”.

Pur riconoscendo di assistere ad un altissimo, edificante e benefico scambio dialogico e ad un confronto di esperienze di stupenda levatura, devo ammettere di rimanere perplesso: non trovo alcun riscontro concreto all’accorata richiesta di riforma del sistema ecclesiale, nemmeno un cenno a voler cambiare qualcosa di clamorosamente sporco e inadeguato. Posso permettermi in tal senso una provocatoria esemplificazione per chiedere almeno un piccolo gesto, che pur tuttavia rimane una specialità della ditta bergogliana: perché non fare un bel pranzo in Vaticano con tutti gli spretati e le loro eventuali compagne per discutere con loro di celibato sacerdotale?

Sono sicuro che papa Francesco non mancherà di elaborare qualche risposta concreta, ma tutto resta troppo legato al suo buon cuore: c’è gente che ha sofferto e che soffre e non può aspettare oltre. Non vorrei mai che tutto finisse nel solito facile dare ragione a chi ce l’ha per continuare tutto come se niente fosse. Sì, perché come dice un noto detto parmigiano, “La ragión la s’dà ai cojón”, mentre, però, il cardinale Marx non è affatto un coglione.