Mi capita poche volte in materia calcistica di essere d’accordo coi tifosi, ma, nel caso della reazione a dir poco fredda degli ultras del Parma al rientro di Gigi Buffon in maglia crociata, è scattata l’eccezione che purtuttavia conferma la regola.
Marcello Chirico, giornalista di fede iuventina, ha duramente attaccato i tifosi del Parma, che hanno esposto uno striscione assai critico verso il portierone: “Il calcio romantico non esiste più, o almeno, non è più di questa terra. Anche una bella storia, come quella di Buffon che sceglie di tornarsene al Parma, là dove per lui tutto ebbe inizio, è stata rovinata in un attimo dal becerume imperante di questi tempi. Da quel “calcio del popolo” capace solo di essere sempre contro e mai pro, e di esasperare il campanilismo fino all’ennesima potenza. Ditemi voi se un giocatore come Buffon, capace di scrivere pagine di storia indimenticabili per il Parma Calcio, può essere accolto così: con uno striscione appeso ai cancelli del Tardini che recita “te ne sei andato da mercenario, non puoi tornare da eroe… onora la maglia”, e da un messaggio su Facebook con espressioni e toni ancora peggiori”.
Quante volte, conversando con amici, mi è capitato di osservare come Gianluigi Buffon, durante la sua lunga carriera post-Parma, abbia sempre evitato ogni e qualsiasi accenno, non dico di gratitudine ma finanche di richiamo storico, al suo debutto ed ai suoi trascorsi in maglia crociata. Niente di strano, probabilmente tutto rientrava nella cosiddetta sindrome rancorosa del beneficiato per la quale le persone tendono a rimuovere dalla memoria i favori ottenuti volendosi liberare da ogni e qualsiasi condizionamento psicologico.
D’altra parte anche il mitico soprano Renata Tebaldi, parmigiana (langhiranese di adozione), disse una imperdonabile bugia affermando di aver debuttato in un grande teatro (non ricordo quale), dimenticando di avere iniziato la sua grandiosa carriera nell’umile parmense teatro Ducale nel quale venivano allestite stagioni liriche in tono minore, soprattutto aperte ai giovani cantanti. Mio padre da quel giorno fece una croce sul nome della Tebaldi, anche se per la verità non rientrava nei canoni delle sue preferenze per i cantanti lirici (una gran bella voce che però non dava i brividi…).
Qualche tempo fa nei confronti di Buffon scattò la solita contestualizzazione giustificazionista riservata alle gaffe dei grandi personaggi. La Procura della Federcalcio aveva aperto un procedimento sulla presunta bestemmia che il portiere avrebbe detto durante un match con il Parma al Tardini. L’espressione blasfema, spiegavano dalla Figc, nel corso della diretta della partita era stata coperta da un commento che non avrebbe consentito di segnalare il caso al Giudice Sportivo. Dopo quanto emerso, comunque, l’indagine andò nel dimenticatoio dopo avere ascoltato il diretto interessato. Il portiere si era rivolto al giovane Manolo Portanova in questo modo: “Porta, mi interessa che ti vedo correre e stare lì (bestemmia) a soffrire eh, il resto non me ne frega un c***o”. Niente di calcisticamente punibile, tutto di umanamente penoso. Cosa volete che sia una bestemmia in un mondo dove è di casa la stupidità associata all’affarismo più bieco e al divismo più pacchiano. Un’inezia! Chissà quanti calciatori e allenatori ne spareranno fra i denti, senza farsi cogliere in fallo.
Di Gianluigi Buffon ne ricordo una molto più “bella” e scandalosa agli inizi della sua sfolgorante carriera. Gli fu rivolta una critica, peccato che non ricordi quale. Anche se non era grave, ebbe tuttavia il potere di irritare l’interessato al punto tale che, pieno (meglio sarebbe dire vuoto) di sé, dichiarò pubblicamente: “Ce l’hanno con me perché sono bello e ricco…”. Lui se la sarà dimenticata, ai suoi osannanti ammiratori sarà certamente sfuggita, io la porto scolpita nel cervello quale sciocchezza emblematica a cui può arrivare un vip. Molto peggio di una bestemmia.
In effetti questi padreterni del calcio la devono smettere di spacciarsi per eroi: altro non sono che mercenari del pallone, persone oltre tutto poco intelligenti e poco serie. Come si noterà, sono ancor più spietato e graffiante degli ultras crociati.
Il famoso musicologo Rodolfo Celletti, a proposito del pubblico e del loggione del Teatro Regio, diceva: «Quando strigliate qualche grosso cantante dimostrando di non avere timore reverenziale verso i mostri sacri dell’opera lirica, confesso che, sotto-sotto, ci godo; ma forse vi piacciono un po’ troppo gli acuti sparati alla “viva il parroco”…». Ebbene, nel caso di Buffon il loggione del Tardini ha ruggito, ed io aggiungo i miei ruggiti. Quanto agli acuti, nel caso in questione, si tratta di aspettare le parate fenomenali che Buffon lascia sperare, ma che non garantisce, assumendo forse più i panni di vecchio trombone calcistico che di fenomeno atletico.
Attenzione perché alla prima “gatta” non vorrei che si ripetesse quanto rientrava nella memoria storica di mio padre. Egli testimoniava come durante il periodo della seconda guerra mondiale, dopo l’occupazione tedesca del nostro territorio, per tenere occupata la gente e distoglierla dalla resistenza al nazifascismo, facessero lavorare gli uomini “al canäl”, vale a dire nel greto del torrente per fingere opere utili che alla fine venivano regolarmente eliminate con le ruspe. Di qui il detto “va’ al canäl”, utilizzato per mandare qualcuno a quel paese in cui si fanno appunto cose inutili ed assurde. In quel triste periodo ritornò a cantare al teatro Regio il grande tenore Francesco Merli, che aveva mietuto allori negli anni precedenti a Parma e nel resto del mondo. Quando ritornò alla ribalta del Regio, però, Francesco Merli, piuttosto anziano, non era più in grande forma vocale e non venne trattato con i guanti. In modo pesante ed inaccettabile, dettato più da cattiveria che da inesorabile atteggiamento critico, il loggione nei confronti del grande tenore Francesco Merli, reo di essersi presentato sul palcoscenico del Regio, nei panni di Manrico nel Trovatore di Verdi, con voce ormai piuttosto traballante, usò la suddetta pesantissima espressione: “va’ al canäl”. Mio padre raccontava questo disgustoso episodio per bollare l’esagerata ed esibizionistica verve loggionista, ma anche per significare come qualsiasi persona, quando si accorge di non essere più in grado di svolgere al meglio il proprio compito, sarebbe opportuno che si ritirasse, prima che qualcuno glielo faccia capire in malo modo. Quanto a Buffon, staremo a vedere, senza fare sconti, ma anche senza esagerare con le critiche: via il dente, via il dolore… (in cauda saccharum).