Il premier Mario Draghi ha tenuto una conferenza stampa per la presentazione del decreto varato dal governo su “Imprese, lavoro, giovani e salute”. In coda al botta e risposta, a cui hanno partecipato anche i ministri Franco e Orlando per quanto di loro competenza, il giornalista Carlo Di Foggia del “Fatto quotidiano” ha posto una domanda sibillina a Draghi: «Un leader della sua maggioranza, Matteo Salvini, la candida, quasi ogni giorno a succedere a Sergio Mattarella, che di recente ha chiarito di non essere interessato ad un secondo mandato. Lei cosa si sente di rispondere a questi solleciti? Li trova inopportuni? Si sente di escludere una tale eventualità? Intende ribadire che la scadenza naturale del suo governo è la fine della legislatura nel 2023?».
Mario Draghi, sfoderando tutto il suo simpatico aplomb, ha risposto col sorriso sulle labbra: «Caro Di Foggia, trovo estremamente improprio, per essere gentile, che si discuta del capo dello Stato quando è in carica; l’unico autorizzato a parlare del capo dello Stato è il presidente della Repubblica». Una lezione di misura e di stile di cui si sente un gran bisogno.
Un amico, peraltro molto intelligente, serio e profondo nelle sue analisi socio-politiche, mi ha fulminato con una battuta provocatoria di cui lo ringrazio: “Affidarsi ad un banchiere e ad un generale dell’esercito significa certificare la fine della politica…”. In teoria ha perfettamente ragione, ma bisogna ragionare. La gravissima situazione di emergenza continua, che stiamo vivendo e vivremo per un bel pezzo di strada, ha evidenziato clamorosamente i gravissimi limiti della classe politica italiana (e non solo italiana): qualcuno a destra ci ricama sopra un de profundis anti-democratico, qualcuno a sinistra teme addirittura la caduta della democrazia. Non c’è nulla di che gioire e nulla di che disperarsi: se è vero che la politica è l’arte del possibile, niente di male se gli artisti si trovano al di fuori dei tradizionali canali della politica. Non è il momento di sottilizzare e di pontificare a vanvera, meglio accettare i supplenti di lusso piuttosto che insistere con i titolari incapaci e inaffidabili.
Mario Draghi è un banchiere fino a mezzogiorno, sta dimostrando, se ce n’era bisogno, di avere una visione politica a livello italiano, europeo e mondiale e soprattutto di avere uno stile molto affascinante e rassicurante. Mi sembra di ricordare che Walter Veltroni abbia recentemente sostenuto come sia il tempo della politica basata sulla competenza e caratterizzata dalla professionalità. Non bisogna esagerare togliendo ad essa il respiro popolare che deve avere, ma non bisogna nemmeno fare gli schizzinosi e insistere sul nulla.
La risposta che Draghi ha fornito all’incolpevole Di Foggia la dice molto più lunga di quanto possa apparire a prima vista. Innanzitutto mi pare che Draghi sottolinei il fatto di essere stato chiamato, oserei dire a furor di istituzioni e finanche di popolo, a gestire una fase in cui la politica stava annaspando.
Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. Questa volta lo faccio, ma a contrariis. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion?» (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica. Non è possibile imbastire questa menata con Draghi: lo abbiamo chiamato noi e peraltro sa quel che fa. Il resto è fuffa demagogica di destra o di sinistra.
In secondo luogo riesce a mantenere un benefico distacco dai giochetti politici: evidentemente li conosce, perché riesce ad evitarli molto bene. È vero che Salvini è uno sbracato politicante che si sta avvicinando al tramonto, ma non c’è solo lui a disturbare il manovratore, che peraltro è capace di rinviare i disturbatori al divieto costituzionale.
In terzo luogo conosce molto bene le istituzioni per averle direttamente o indirettamente praticate e non cade certo nei tranelli che gli vengono tesi. Prima di mollare la presa ci penserà sopra due volte così come avrà certamente fatto prima di accettare l’incarico. Così come non si lascerà coinvolgere nelle asfittiche diatribe partitiche. Al riguardo mi pare che anche ad Enrico Letta abbia dato una lezione di pragmatismo fiscale assai appropriata: non si possono improvvisare battute di sacrificio a basi vuote. Resta purtroppo intatto il vizio di certa sinistra più orientata a far star male tutti anziché cercare di migliorare le condizioni di chi sta veramente male.
Concludendo, come diceva Mike Bongiorno, grappa Draghi, sigillo Mattarella. Se qualcuno, non certo il mio amico di cui sopra, sente nostalgia per i politicanti da quattro soldi, può sempre rifugiarsi in certi bar pieni di triviali polemiche o nei salotti pieni di sofisticate e impossibili alternative di sistema.