Tra i tanti insegnamenti ricevuti dai miei genitori c’è quello di “misurare le parole” quando si parla. Proprio in omaggio a questo suggerimento voglio oggi partire col misurare la parola “politica”, tanto abusata, invocata e svilita.
Secondo un’antica definizione la Politica è l’arte di governare e conseguentemente il termine politica dovrebbe essere utilizzato in riferimento all’attività ed alle modalità di governo. Venendo ai giorni nostri il principale depositario della politica dovrebbe essere Mario Draghi alle prese con l’improba opera di governare il Paese. Invece con la menata del “governo tecnico” si tende ad articolare il discorso su due piani: quello del governo presieduto da Draghi e quello delle chiacchiere sparate a casaccio dai rappresentanti dei vari partiti. Tra questi due livelli si sta creando una frattura sostanziale e temporale: mentre il governo è costretto a varare una strategia fatta di piani a breve, medio e lungo termine, i partiti elaborano “tattichette” contingenti, di brevissimo respiro e di mera combinazione elettoralistica.
Mentre Draghi pensa a governare, chi lo appoggia pensa al dopo-Draghi, mentre si presenta in Europa un piano nazionale di ripresa e resilienza (un enorme e impegnativo programma teso a rivoltare il Paese come un calzino), chi dovrebbe condividerlo e assecondarlo lo guarda di sottecchi, lo accetta con un certo scetticismo, preferendo parlare d’altro, cercando magari di approfittare in modo clientelare dei vantaggi economico-finanziari, ma interessandosi preferenzialmente del come presentarsi alle urne il prima possibile.
Si sta creando un doppio binario, quello della politica e quello della “politichetta”. Gli esempi della politichetta si sprecano. La Lega (sarebbe meglio dire Salvini) è preoccupata di non cedere la leadership della coalizione a Fratelli d’Italia (sarebbe meglio dire Giorgia Meloni): scontro fra titani della politica da osteria, fra “amici per le palle” e non per la pelle. Discorso analogo si può osservare nei rapporti tra PD e M5S: il loro problema è preservare l’identità (non si capisce quale) e quindi da una parte non appiattirsi sul governo Draghi e dall’altra non disturbarlo troppo. Il M5S è ormai un partito in cerca d’autore (Giuseppe Conte, il politico nuovo di zecca, si sta candidando al riguardo), il PD è da tempo un partito in cerca di linea retta (Enrico Letta, esperto in geometria, sta tentando di chiudere il cerchio).
Salvini spinge scriteriatamente sulla riapertura per accreditarsene i meriti (?), sottraendoli alla Meloni; Letta attacca Salvini e si erge a difensore di una linea rigorista-perbenista, aspettando grilloparlantescamente sulla sponda del fiume la terza o quarta ondata della pandemia; ci sono all’orizzonte alcune consultazioni elettorali amministrative e si è scatenata una bagarre di infimo profilo per trovare il modo di incasinare la politica facendola diventare “politicaccia” al voto.
E Massimo Cacciari, il politologo di razza, invoca la politica con la “P” maiuscola dei Moro e dei Berlinguer, facendo finta di rimanere nel libro dei sogni, rischiando di tirare la volata alla politica con la “p” minuscola, dimenticando che la politica è anche l’arte del possibile e che il miglior possibile immaginabile oggi si chiama Mario Draghi a cui bisogna augurare lunga vita.
Dal punto di vista mediatico, siccome il discorso sostanziale si è fatto difficile, meglio ridurre il PNRR a una bega antiburocratica e rifugiarsi nelle polemiche tra partiti e loro esponenti in cerca di ribalta. In molti elogiano la capacità di mediazione di Mario Draghi. A mio avviso Draghi sta dimostrando una grande capacità di indifferenza alla “politicuccia”, riesce cioè a restare in quota e non si fa distrarre dai ciarlatani di turno. Buon lavoro!