Il governo preannuncia misure atte a dare un taglio alla burocrazia ed a consentire cantieri più rapidi (salterebbe la soglia dei subappalti e scatterebbe l’assegnazione all’offerta più bassa), in modo da rendere più immediata e forte la spinta impressa all’economia dal Recovery Plan. Di fronte a questa prospettiva è suonato immediatamente l’allarme dei sindacati, preoccupati per l’eliminazione dei controlli e per i rischi potenzialmente provenienti dalla foresta mafiosa.
Non è la prima volta che si pone il problema di coniugare la riforma burocratica con la difesa della legalità e della correttezza nelle procedure per l’assegnazione e lo svolgimento dei lavori pubblici. C’è un equivoco di fondo da cui sgombrare il campo: non è con una giungla burocratica che si bloccano i leoni in cerca di appalti facili; non è con un labirinto di adempimenti formali che si combatte l’evasione fiscale.
La quadratura del cerchio dovrebbe consistere in un sistema virtuoso di controlli: nella confusione burocratica trova facile rifugio chi vuole lavorare nell’ombra; smascherarlo non è compito che si assolve dietro le scrivanie, ma sul campo. Altrimenti finisce che vengono colpiti gli ingenui e non gli sporcaccioni.
Sarà la volta buona per avviare una riforma burocratica di cui si parla da decenni? Non sottovaluto i rischi a cui fa riferimento il sindacato: lo snellimento non deve andare a ledere i diritti dei lavoratori e le garanzie degli utenti, ma non si può mantenere lo status quo per difendere gli occupati a scapito dei disoccupati, così come non si deve difendere la continuità di chi è comodamente seduto a scapito di chi sta precariamente in piedi.
Due caratteristiche negative della nostra società sono costituite dal peso enorme della burocrazia, che paradossalmente va d’amore e d’accordo con la presenza delle mafie. Bisogna rompere questo tacito equilibrio: è un discorso enorme che deve essere affrontato e sul quale finora la politica ha chiacchierato molto e concluso poco. L’Unione europea ha perfettamente ragione a pretendere una decisa azione italiana in tal senso quale condizione per usufruire dei fondi comunitari. Non credo che gli altri stati-membro, almeno i più evoluti, abbiano simili palle al piede, anche se mi si dice che certi Stati siano maestri nel fare apparire come luccicante ciò che oro non è. Forse il pulpito europeo non è il massimo per una giusta predica anti-burocratica: una ridondante, costosissima ed autoreferenziale tecno-struttura domina sulle istituzioni europee. Comunque l’Italia deve uscire dall’imbuto burocratico pena la neutralizzazione di ogni e qualsiasi sforzo innovativo a livello legislativo ed amministrativo e la tarpatura delle ali di ogni e qualsiasi sforzo a livello del privato e del privato-sociale.
Sia chiaro che la nostra struttura burocratica non è costituita da un esercito di incapaci allo sbaraglio, è fatta, almeno in moltissimi casi, di gente capace e preparata che respira però col solo polmone della difesa del proprio potere, mentre non funziona quello civico del servizio al cittadino ed al Paese. Finora la politica ha parlato di burocrazia senza conoscerla, finendo solo con lo scaricare su di essa il barile delle proprie responsabilità. Per combattere un male bisogna conoscerlo, altrimenti se ne resta paralizzati. Dal governo tecnico-politico di Mario Draghi mi aspetto un’inversione di tendenza ed al riguardo mi lascia ben sperare la dimestichezza burocratica di parecchi ministri collocati nei posti chiave. Qualche bastian contrario obietterà: ci illudiamo di combattere la burocrazia piazzando dei burocrati nei ministeri chiave? Nessuna illusione, solo la speranza che possa esserci qualcuno che osa prendere il toro per le corna a costo di prendere qualche (s)cornata.